Perché sembra che di smart, intelligente, ci sia sempre meno al mondo. Da tempo rifletto, come tanti, sulle implicazioni di questa rivoluzione social.
Le riflessioni mi portano a riprendere spesso le teorie di Alexis de Tocqueville circa la società di massa, ma nonostante la pessimistica visione dell'intellettuale francese, a rivederla in peggio.
La rivoluzione informatica si sta volgendo ormai all'utilizzatore finale. Non è più una materia per smanettoni, ormai ogni aspetto della nostra vita viene riassunto in una "app" già chiamato programma o applicazione informatica.
Tutto è app, tutto è facile, perché si sa che la persona normalmente pigra vuole soluzioni comode. E così comodamente, dopo aver ceduto sovranità allo stato, mi rifaccio come spesso faccio a John Locke quale padre fondatore dello stato moderno, cede informazioni riservate, le più intime in assoluto, all'apparato informatico.
Siamo schiavi del device
per usare un termine esotico molto in voga fra i patiti di marketing e relazioni sociali. Per mezzo di questo attrezzo elettronico, possiamo svolgere facilmente operazioni che richiederebbero altrimenti coordinazione, maestria, pratica, fatica, tempo.
La rivoluzione smart è diventare sempre più pigri, togliersi perfino il piacere di andare a fare shopping. Diventare consumatori neurali, comprare tonnellate di oggetti senza neppure doversi alzare dal letto, per poi mostrarne foto sui social network e discuterne in chat o su skype.
Eppure fuori c'è un mondo, lo stesso mondo in cui fatichiamo tanto a creare un'immagine di noi che raramente corrisponde al vero, ma che corrisponde spesso a quella che potremmo avere se lavorassimo duramente per costruirla.
Alla stessa maniera realizziamo dei falsi noi sui social network, utilizziamo foto false o ritoccate, mostriamo i nostri lati migliori, studiamo attentamente cosa scrivere, e per fare questo usiamo uno strumento informatico.
Così accade che lo strumento che usiamo prende il controllo.
Esistono ditte commerciali che per poche centinaia di euro offrono l'accesso alle e-mail di migliaia o milioni di soggetti ignari, persone che hanno probabilmente dato il consenso informato per l'assicurazione auto o per la raccolta punti del supermercato oppure per l'accesso a facebook.
Persone che utilizzano lo smartphone continuamente, conservando le foto non ritoccate, i propri dati sensibili, la propria corrispondenza, ogni tipo di informazione personale nella convinzione di averne il controllo.
Molti hanno sentito parlare della vulnerabilità di Windows, pochi si curano di conoscere la ben maggiore vulnerabilità di Android e Apple.
La semplificazione passa per la rinuncia.
Per semplificare l'uso dei computer, per permettere l'uso di un palmare a qualsiasi essere dotato di un dito e capacità cognitive insufficienti a gestire un menu di scelta, si è deciso di sacrificare la privacy.
Oggi è sufficiente premere il dito indice in menu a scelta limitata, come fanno i bambini in età pre-scolare, e proseguire in un percorso di briciole di pane tracciato da qualche Pifferaio magico che neppure conosceremo mai, il cui intento è condurci sull'orlo di qualche dirupo digitale utilizzando le informazioni lasciate incustodite all'interno del nostro device.
E' finità l'epoca della riservatezza, è caduto ogni barlume di privacy, così come sono diventate superflue l'intelligenza e la capacità di adattamento ambientale che avevamo in quanto animali.
E in questo mondo di facciate e traffico di dati fittizi, per essere diversi e non lasciare spazio al ricatto sociale, non ci resta che un'ultima residuale alternativa; essere onesti.
appunti semi-lucidi di un autore che, dopo essere stato geometra ed essersi ingraziato Platone, cerca operosamente una via di uscita dalla realtà.
venerdì 21 novembre 2014
giovedì 6 novembre 2014
Genova come Detroit, un parallelo pericoloso
Alle volte vengono in testa strane idee. Appaiono deboli nessi fra i concetti, si trovano convergenze curiose e si passa un po' di tempo a fare ricerca e poi a scrivere, pensando che ci siano posti nel mondo così distanti, ma per certi versi così vicini.
Detroit
Detroit
La
città di Detroit nasce nel Settecento, durante la colonizzazione
francese, come stazione commerciale. La vittoria britannica nella
guerra dei sette anni cancellò la presenza francese dal Nord America
e avviò quel processo separatista che nel 1776 vide la nascita degli
Stati Uniti d'America. Lo stato del Michigan, e con esso la nascente
città di Detroit, divenne autonomo nel 1805 e nel gennaio del 1837
entrò, come ventiseiesimo stato, a far parte dell'Unione.
Nel
1840 la popolazione della città di Detroit non raggiungeva i
diecimila abitanti, seppure la progressione demografica fu costante
per tutto il XIX secolo.
La
fortuna della città è legata al nome di Henry Ford, alla suo
modello T e alla produzione in serie. Grazie alle idee rivoluzionarie
di Ford, ma soprattutto a quelle dell'ingegnere Frederick
Taylor, la rivoluzione industriale di fine
ottocento divenne per la capitale del Michigan un fattore di crescita
esponenziale.
Nel
1910 la popolazione cittadina era di 465,776 abitanti, nel 1920 era
già raddoppiata e nel decennio successivo superava quota 1.500.000,
per raggiungere l'apice nel momento di massimo splendore
dell'industria automobilistica americana. Nel 1950 a Detroit vivevano
1.849.568 persone, gran parte impiegate nell'indotto dell'industria
automobilistica e nei servizi.
Genova
La
storia di Genova è profondamente diversa. Mentre Detroit non era che
una roccaforte in un territorio inesplorato, la Superba era una delle
potenze commerciali più floride del Seicento.
La
crisi dei commerci nel Mediterraneo, ciò che fece la fortuna della
città americana, segnarono la fine del dominio genovese. Dopo la
conquista napoleonica e l'annessione al Regno di Sardegna, Genova
entrò a far parte del Regno d'Italia nel 1861. In quell'anno la
popolazione censita era di 242.447 unità e, grazie al processo di
industrializzazione delle città italiane, nel 1911 la popolazione
genovese raggiunse i 465.496 abitanti, curiosamente pari a quella
quella della Detroit in cui l'industria stava per esplodere.
La
situazione geopolitica dell'Europa tra le due guerre mondiali
rallentò molto il progresso demografico di Genova. La crescita
riprese dopo la Seconda guerra mondiale, l'industria metallurgica
divenne fiorente e la Città costituì con Torino e Milano il famoso
triangolo industriale.
La
popolazione cittadina raggiunse il proprio apice nel 1965 con la
vertiginosa cifra di 848.121 residenti.
Convergenza
Se
la storia demografica delle due città appare profondamente diversa,
sia per l'area geografica, sia per la tradizione economica, sia per
il contesto sociale, è innegabile che l'industrializzazione del
Novecento sia stata centrale nello sviluppo di queste città.
Entrambe
le città hanno beneficiato di ripetuti flussi migratori, per Detroit
prima europei, poi asiatici e infine di neri dagli stati del Sud,
mentre per Genova dapprima la migrazione dalle campagne e
successivamente dal Meridione.
Le
proporzioni sono chiaramente diverse, i flussi americani furono più
copiosi e più veloci, favoriti certamente da una cultura liberale e
una minore densità abitativa regionale, ma gli effetti sul
territorio, soprattutto sulle infrastrutture sono comparabili in
entrambe le città.
Crescita
Edilizia
L'enorme
richiesta di immobili data dall'aumento della popolazione, ha
stimolato per decenni una crescita pressoché incontrollabile del
mercato immobiliare.
Seppure
con tipologie architettoniche diverse, in America sono tipiche le
case monofamiliari mentre in Italia si tende a vivere in condominio,
a Detroit come a Genova sono nati quartieri residenziali a tempo di
record, affinché fornissero spazi abitativi ai nuovi cittadini. A
Genova, tra il 1961 e il 1981 il patrimonio
abitativo aumenta
di
quasi 60.000 abitazioni, per l’86% costruite negli anni Sessanta.
Tutti questi edifici continuano ad
esistere tutt'oggi, anche se il flusso in entrata si è trasformato
in un flusso in uscita.
Deriva
economica
L'alta
specializzazione di Detroit e di Genova, vocate entrambe
all'industria pesante ne hanno fatto due simboli del Novecento.
Se
nel momento della crescita i redditi pro
capite degli abitanti erano tra i più alti
delle rispettive nazioni, la crescita del Terzo mondo, e la
conseguente globalizzazione economica hanno lentamente impoverito
questi centri, che di fatto non hanno mai attuato politiche di
recupero.
Mentre
la Motor City iniziava
a veder svanire l'industria automobilistica, Genova produceva ancora
acciaio e case. Qualche decennio dopo però anche La Superba ha
iniziato a fare i conti con il calo della produzione. Il porto,
seppure rinnovato risente sempre più della mancanza di collegamenti
con il resto del continente e il calo demografico si fa rilevante.
Calo
Demografico
Detroit
ha iniziato a patire un calo della popolazione a partire dagli anni
cinquanta, dopo trent'anni di crescita impressionante ha iniziato un
lento ed inesorabile declino, dal 1950 Detroit ha perso il 62% della
popolazione raggiungendo i 713.777 abitanti nel 2010. Il calo
demografico ed economico della città, incrementato nel periodo tra
il 2000 e il 2010 con una perdita del 25%, è culminato infine nel
default del luglio 2013. Oggi Detroit conta 78.000 edifici
abbandonati, oltre 100.000 l'intero stato del Michigan.
Genova
vive una situazione simile, seppure traslata nel tempo. La crescita è
stata più lenta, ma ciò non toglie che dalla fine degli anni '70 il
calo demografico è inesorabile, per le stesse cause economiche che
contribuirono al declino della Motor
City americana.
In
una simile situazione a risentirne sono sempre i servizi locali. Le
amministrazioni pubbliche, in quanto emanazioni della burocrazia,
sono lente nel recepire il cambiamento e non attuano tempestivamente
la soluzioni necessarie alla correzione, anche perché le politiche
di
riordino dei conti pubblici sono normalmente penalizzanti in termini
elettorali.
In
situazione di crisi, non solo le imprese, ma anche i cittadini
decidono ad un certo punto di ricostruirsi una vita altrove e questo
rende improvvisamente insostenibili le spese di gestione di città
concepite per un numero notevolmente più grande di abitanti.
Crollo
del mercato immobiliare
Detroit
ha certamente risentito in maniera prepotente della propria crisi.
Nel grafico allegato si può vedere l'andamento del mercato
immobiliare della città americana. Si può notare che la variazione
dei prezzi è strettamente correlata al numero di abitanti. Più
veloce è il calo demografico, più veloce sarà il calo dei prezzi.
Genova
vive una situazione di disagio simile a Detroit.
La
crisi immobiliare attanaglia tutto il Paese e per la Superba, priva
al momento di prospettive economiche di grande rilievo, il dato della
crisi immobiliare potrebbe nascondere un male peggiore; la concreta
possibilità che una ripresa del mercato nazionale non sia
sufficiente ad arginare la svalutazione del patrimonio locale.
Il
grafico accanto riporta l'andamento della richiesta di abitazioni
negli ultimi due anni, non è ovviamente positivo ma non ci permette,
quando lo paragoniamo a quello nazionale di rilevare eventuali
patologie locali.
Resta
peraltro il dato allarmante di una popolazione costantemente in calo
e di un'economia locale sempre più sofferente.
Il Futuro di Detroit
L'Amministrazione
locale di Detroit sotto la guida del sindaco David Bing, ha risposto
al default
con un piano urbano di
ridimensionamento,
riducendo la città di un terzo della propria superficie. Ciò è
stato possibile creando la Blight
Authority,
un ente che si occupa della demolizione dei ruderi e del riordino
urbano, raggruppando gli abitanti nei quartieri rimasti e destinando
le aree deurbanizzate alla realizzazione di fattorie, creando una
nuova economia agricola locale, in luogo delle aree abbandonate.
Detroit ha reagito al fallimento rendendosi conto della propria
condizione, Genova cosa farà?
I
recenti eventi del 10 ottobre scorso, l'alluvione che si ripete a
distanza di poco tempo, ma ancor prima lo sciopero ad oltranza del
trasporto pubblico locale, l'impossibilità o l'incapacità della
classe dirigente di gestire il declino economico della città sono
emblematici.
Le
previsioni demografiche prevedono per Genova una popolazione di circa
400.000 abitanti, che paragonati agli attuali 596.958
significherebbero un calo di circa il 30% della popolazione, perfino
maggiore di quello che ha accompagnato il default
di
Detroit.
Riuscirà
Genova dove Detroit ha fallito?
Ci
chiediamo oggi se riuscirà Genova a porre in essere una politica di
riordino del territorio prima del fallimento, se gli edifici in
eccesso possano essere abbattuti prima del crollo inesorabile dato
dall'abbandono.. E' necessario per Genova avviare un progetto di
decostruzione compatibile con il futuro demografico, senza perdere
ulteriore tempo, restano meno di venti anni; vent'anni cruciali per
il futuro della Città.
lunedì 3 novembre 2014
I miei primi quasi quarant'anni
Non sono poi così diversi dai primi trentanove e suppongo neppure dai primi quarantuno, se non nella parte marginale che risulta rilevante soltanto dell'immediatezza della celebrazione.
La valutazione però si fa nel complesso, così posso farla senza problemi seppure manchi ancora un giorno o quasi.
Quando iniziai il mio percorso in questa valle di lacrime lo feci contro il fato, giàcché rischiai di morire strangolato alla nascita.
Da quel momento tragico posso dire che è stata tutta discesa ma ripidamente in salita, perché costellata da un paio di altri eventi di quel calibro, qualche volo in moto, qualche commozione cerebrale e tanta, ma tantissima voglia di migliorare me stesso.
Affrontare sfide è quello che credo di aver saputo fare meglio fin'ora.
Il che non coincide assolutamente con la vittoria. Affrontare una sfida significa semplicemente mettersi in gioco con qualcosa che riteniamo più grande di noi. Significa tentare di raggiungere un obiettivo alto, significa non accontentarsi di quello che abbiamo ottenuto o di quello che facilmente possiamo avere.
Il paradosso sociale è che i momenti significativi di una vita sono quelli in cui si cambia. Che ci sia un rituale sociale o meno, il cambiamento è da sempre al centro di vite che tentano disperatamente di conservare lo status quo.
La gente è normalmente terrorizzata dal cambiamento, seppure cerchi di esorcizzarlo attraverso riti di passaggio e definizioni precostituite. Si diventa adulti quando si compiono i diciotto anni, ci si sposa, si fa la prima comunione, si va in pensione e per ognuno di questi momenti si fa una grande festa.
Eppure celebrare il momento di passaggio da una condizione ad un'altra lascia un vuoto enorme.
Impedisce di percepire il continuo divenire, quella sorta di scorrere idraulico del tempo che leviga gli spigoli del nostro essere regalandoci una forma armoniosa in perpetua evoluzione.
Anni fa decisi di non voler sapere chi o cosa fossi, ma di voler disperatamente esserlo. E così divenni figlio, studente, fratello, operaio, scrittore, geometra, sportivo, amante, inventore, eremita, webmaster, allenatore, mecenate, giornalista, consulente, fidanzato e presto padre.
Ma soprattutto, in questo periodo di tempo che varia sempre in maniera marginale, divenni qualcosa che diversamente non avrei potuto essere; felice.
La valutazione però si fa nel complesso, così posso farla senza problemi seppure manchi ancora un giorno o quasi.
Quando iniziai il mio percorso in questa valle di lacrime lo feci contro il fato, giàcché rischiai di morire strangolato alla nascita.
Da quel momento tragico posso dire che è stata tutta discesa ma ripidamente in salita, perché costellata da un paio di altri eventi di quel calibro, qualche volo in moto, qualche commozione cerebrale e tanta, ma tantissima voglia di migliorare me stesso.
Affrontare sfide è quello che credo di aver saputo fare meglio fin'ora.
Il che non coincide assolutamente con la vittoria. Affrontare una sfida significa semplicemente mettersi in gioco con qualcosa che riteniamo più grande di noi. Significa tentare di raggiungere un obiettivo alto, significa non accontentarsi di quello che abbiamo ottenuto o di quello che facilmente possiamo avere.
Il paradosso sociale è che i momenti significativi di una vita sono quelli in cui si cambia. Che ci sia un rituale sociale o meno, il cambiamento è da sempre al centro di vite che tentano disperatamente di conservare lo status quo.
La gente è normalmente terrorizzata dal cambiamento, seppure cerchi di esorcizzarlo attraverso riti di passaggio e definizioni precostituite. Si diventa adulti quando si compiono i diciotto anni, ci si sposa, si fa la prima comunione, si va in pensione e per ognuno di questi momenti si fa una grande festa.
Eppure celebrare il momento di passaggio da una condizione ad un'altra lascia un vuoto enorme.
Impedisce di percepire il continuo divenire, quella sorta di scorrere idraulico del tempo che leviga gli spigoli del nostro essere regalandoci una forma armoniosa in perpetua evoluzione.
Anni fa decisi di non voler sapere chi o cosa fossi, ma di voler disperatamente esserlo. E così divenni figlio, studente, fratello, operaio, scrittore, geometra, sportivo, amante, inventore, eremita, webmaster, allenatore, mecenate, giornalista, consulente, fidanzato e presto padre.
Ma soprattutto, in questo periodo di tempo che varia sempre in maniera marginale, divenni qualcosa che diversamente non avrei potuto essere; felice.
Iscriviti a:
Post (Atom)