Ieri correva il 99esimo anniversario dell'armistizio che unificò l'Italia, nonché il mio 43esimo compleanno.
In questi giorni cade anche il 100esimo anniversario della disfatta di Caporetto e della coscrizione dei ragazzi del '99.
Mio nonno, Enrico Garrone da Silvano d'Orba (AL), era uno di quei ragazzi, chiamato in guerra a diciassette anni e partito per salvare il Paese dall'invasore Austro-ungarico.
A cento anni di distanza, con il suo ricordo nel cuore, parto da Genova per lasciare l'Italia.
Per completezza d'informazione, è utile sapere che il mio onomastico cade il 25 aprile, data in cui sono solito ricordare l'altro mio nonno, Giacomo Speroni da Vedano Olona (VA), partigiano ferito e reso invalido da una pallottola alla testa nel corso della Guerra di liberazione dal nazifascismo.
A settantadue anni di distanza, con il suo ricordo nel cuore, parto da Genova per lasciare l'Italia.
Eppure è chiaro che abbiamo fallito. E' lampante che quei due di migliaia di giovani credessero in qualcosa che non è mai esistito.
Sono arrivati gli Americani e ci hanno portato la democrazia, ma non abbiamo saputo che farcene e ci troviamo oggi sull'orlo di un precipizio economico senza precedenti che porterà alla morte politica di questa nazione, consegnando agli annali una disgregazione la cui unica fortuna sarà di avvenire all'interno della nascita dell'Unione Europea.
Poco conta se avesse ragione Scoppola con la sua teoria sulla "meridionalizzazione" del Paese o se tutto fosse solo dovuto alla fine della guerra fredda e alla fine del "bengodi" per questa nazione di spendaccioni.
Poco importa il perché dell'Italia liberale dei Luigi Einaudi e di Adriano Olivetti non è rimasto quasi nulla per lasciare il posto, passando per gli Andreotti e i Craxi, ai vari Matteo Renzi o Matteo Salvini.
Il secondo novecento, il secolo breve, è stato un secolo di transizione per tutto il nostro mondo, un momento di pace e prosperità probabilmente irripetibile per l'Europa che noi Italiani non abbiamo saputo mettere a frutto.
Il secondo novecento, il secolo breve, è stato un secolo di transizione per tutto il nostro mondo, un momento di pace e prosperità probabilmente irripetibile per l'Europa che noi Italiani non abbiamo saputo mettere a frutto.
Del sacrificio dei nonni ne hanno goduto i genitori e ne pagano il prezzo i figli e ancor più i nipoti.
Non c'è più posto in Italia per chi non ha risorse economiche da spendere. Non è un posto adatto a chi deve lavorare e cerca di costruirsi un futuro, per sé e per i propri figli.
Così parto da Genova per l'Irlanda.
Nazione di trasmigratori anch'essa, di persone in buona parte fuggite nel XIX secolo per la fame ma che hanno sempre mantenuto nel cuore la loro identità culturale, forgiata da cinque secoli di dominazione inglese.
Un percorso, quello irlandese, opposto a quello italiano.
Una nazione costruita per dare voce agli oppressi, una dichiarazione di indipendenza del 1916 e una libertà ottenuta con una sanguinosa guerra e sigillata da una guerra civile di cui ricorrerà il centenario
il 6 dicembre 2021.
Parto per l'Irlanda perché oggi è pronta ad accogliere uno straniero come me, uno che ha un passato da Italiano, ma un presente da cittadino Europeo, che ha due figlie meritevoli di un futuro che non sia solo il ricordo dei fasti di un secolo terminato, in cui non hanno neppure mai vissuto.
Non parto oggi per andare via dall'Italia, parto per restare in Europa e guardare ancora al futuro con l'ottimismo necessario a chi ha idee e voglia di fare.
Domani i miei nonni calcheranno con me il suolo della verde Irlanda, e anche lì come in ogni luogo in cui vivrò, farò di tutto per renderli fieri del sacrificio che hanno fatto per tutti noi.
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