...ovvero l'intelligenza delle macchine supera quella di molti umani.
Sembrava impossibile e invece è diventata realtà e nel giro di pochissimo tempo.
Le automobili si guidano da sole, riescono a prendere decisioni intelligenti e a collaborare in maniera proficua per la gestione del traffico.
La teoria del formicaio applicata alle autovetture ha risolto il più grande problema del novecento, spostare le persone in maniera rapida ed efficiente, pertanto senza coinvolgerle nell'azione. Già perché l'incapacità dell'essere umano di rispettare le regole e di collaborare per la regolamentazione del traffico hanno decretato il fallimento di un intero modello sociale.
Ad oggi molte persone, troppi giovani, non sanno più neppure utilizzare un semaforo e non comprendono il rischio correlato all'investimento ritenendosi una sorta di supereroi immuni da ogni danno fisico.
Motociclisti spericolati e distratti che tagliano la strada a camion,
Pedoni incuranti che attraversano con il rosso senza notare il flusso delle auto,
Automobilisti a tutta velocità che non rispettano le precedenze.
L'inadeguatezza delle masse alla vita nell'ambiente in cui si muovono quotidianamente è il riflesso dello sviluppo sociale del novecento. La specializzazione a cui siamo stati indotti da un sistema sempre più frenetico e competitivo, ha portato una buona parte delle persone che popolano l'ambiente urbano a decidere di selezionare l'ambito di interazione escludendone alcuni aspetti, spesso non secondari.
L'esempio perfetto lo abbiamo con quanti camminano nelle città guardando continuamente lo smartphone, spesso indossando le cuffie e isolandosi così dall'ambiente in cui si trovano fisicamente.
Ciò li rende palesemente inadeguati al modello di vita a cui il loro corpo appartiene, inadeguati all'interazione con gli estranei se non attraverso il filtro dei social media.
Risuonano sempre più le parole di Descartes «cogito ergo sum», con cui poneva l'accento sul dubbio, sottolineando che proprio nella critica, quindi nell'atto di pensare, l'uomo esiste..
Sono dunque umani questi esseri inconsapevoli che transitano per le nostre strade?
E' difficile non pensare che siano una sorta di esseri subumani, quando vengono travolti da un treno perché attraversano i binari senza neppure guardare, o da un'auto quando attraversano la strada con il rosso.
Così all'apice della diffusione delle democrazie, raggiunto il suffragio universale e avendo dato a tutti la possibilità di esprimersi attraverso il world wide web, scopriamo che molti non ne avranno mai le capacità.
Scopriamo che forse gli eguali diritti non hanno un effetto positivo sulla società.
Comprendiamo la necessità di una soluzione.
E in questo momento nasce la AI, Artificial Intelligence, come un novello messia che libera il mondo dal male rappresentato dall'incapacità residua di pensare.
Le macchine iniziano a pensare per noi, le autovetture viaggiano da sole, il frigorifero si autogestisce e le serrande si chiudono da sole, lasciandoci infine il tempo per vegetare senza più nulla di cui occuparci, se non decidere come dilapidare ciò che resta della nostra quota data e ignota di tempo.
Come si può essere umani senza inventare, senza decidere, senza preoccuparsi, senza soffrire e senza dubitare? Sì può vivere da non-morti, inteso come "non ancora morti" lobotomizzati e passivi?
Ritengo personalmente che non sia possibile e che dovremmo presto selezionare le persone non già in base al censo o alla condizione nobiliare, bensì in base alla capacità di elaborare i concetti e le soluzioni, differenziare l'homo sapiens rimasto, dalla nuova specie regressiva di homo stultus.
appunti semi-lucidi di un autore che, dopo essere stato geometra ed essersi ingraziato Platone, cerca operosamente una via di uscita dalla realtà.
sabato 28 maggio 2016
giovedì 12 maggio 2016
Se guardi nell'abisso, l'abisso guarda in te
... a meno che tu non sia Mr Spock.
Ci appare più chiaro se pensiamo alla professione medica, a chi per mestiere si occupa dei problemi altrui e deve tenere le distanze emotive per non trovarsi rapito e perdere ogni contatto con la propria profesisonalità.
Lo stesso succede con l'osservazione sociale.
Perché studiare il modo di comportarsi di masse disorganizzate e irrazionali, sì esatto irrazionali contrariamente a quasi tutte le teorie economico-sociali, non fa che renderci a nostra volta irrazionali e vulnerabili.
E così proprio perché non siamo dei fantasmagorici Vulcaniani, non ci resta che tentare di prendere le distanze dall'oggetto del nostro interesse, ma così facendo perdiamo progressivamente la possibilità di osservarlo.
Non esiste un binocolo sociale
E questo infinito tira e molla seleziona chi realmente è in grado di vedere il mondo facendone parte; per tutti gli altri non resta che l'isolamento o la partigianeria.
Ed è proprio fare parte di un contesto sociale che definisce l'umano essere all'interno della specie, che permette di definire un Italiano o uno straniero, un avvocato da un operaio, un tifoso di una squadra
piuttosto che di un'altra, il vegano dal carnivoro.
E' l'abisso a guardare dentro noi, un poco per volta ci cambia e ci influenza, ci impedisce di valutare oggettivamente ci amalgama e dissolve togliendoci la capacità di giudizio. E così, stando ai margini della società si possono apprezzare aspetti che ai più sfuggono, vedere il declino inesorabile e continuo di un determinato contesto sociale, di un modo di vivere, di una intera era dell'umanità.
Ma la consapevolezza non dà gioia
E sapere che tutto sta cambiando in peggio è decisamente frustrante, forse è meglio andare allo stadio la domenica e rimandare le rivelazioni sociali ad un futuro remoto e irraggiungibile, lasciare la consapevolezza agli altri, agli studiosi, agli irriducibili e tormentati esploratori della società.
Beati coloro che non vedono.
L'illuminante e sintetica frase di Friedrich Nietzsche che ho scelto come titolo, ci mostra immediatamente come sia difficile restare estranei all'oggetto del nostro interesse.
Ci appare più chiaro se pensiamo alla professione medica, a chi per mestiere si occupa dei problemi altrui e deve tenere le distanze emotive per non trovarsi rapito e perdere ogni contatto con la propria profesisonalità.
Lo stesso succede con l'osservazione sociale.
Perché studiare il modo di comportarsi di masse disorganizzate e irrazionali, sì esatto irrazionali contrariamente a quasi tutte le teorie economico-sociali, non fa che renderci a nostra volta irrazionali e vulnerabili.
E così proprio perché non siamo dei fantasmagorici Vulcaniani, non ci resta che tentare di prendere le distanze dall'oggetto del nostro interesse, ma così facendo perdiamo progressivamente la possibilità di osservarlo.
Non esiste un binocolo sociale
E questo infinito tira e molla seleziona chi realmente è in grado di vedere il mondo facendone parte; per tutti gli altri non resta che l'isolamento o la partigianeria.
Ed è proprio fare parte di un contesto sociale che definisce l'umano essere all'interno della specie, che permette di definire un Italiano o uno straniero, un avvocato da un operaio, un tifoso di una squadra
piuttosto che di un'altra, il vegano dal carnivoro.
E' l'abisso a guardare dentro noi, un poco per volta ci cambia e ci influenza, ci impedisce di valutare oggettivamente ci amalgama e dissolve togliendoci la capacità di giudizio. E così, stando ai margini della società si possono apprezzare aspetti che ai più sfuggono, vedere il declino inesorabile e continuo di un determinato contesto sociale, di un modo di vivere, di una intera era dell'umanità.
Ma la consapevolezza non dà gioia
E sapere che tutto sta cambiando in peggio è decisamente frustrante, forse è meglio andare allo stadio la domenica e rimandare le rivelazioni sociali ad un futuro remoto e irraggiungibile, lasciare la consapevolezza agli altri, agli studiosi, agli irriducibili e tormentati esploratori della società.
Beati coloro che non vedono.
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