Siamo stati abituati a pensare che l'arte fosse sostenuta dal denaro dei benefattori.
Poi ripenso a Leonardo da Vinci, in lui vi è la migliore sintesi artistica dell'intera storia dell'umanità, qualità che peraltro lo ha portato a lavorare al soldo degli uomini più potenti del suo tempo, in ultimo il Re di Francia.
Qualcuno potrebbe dire che proprio la benevolenza e la magnanimità dei suoi finanziatori hanno permesso alla sua arte di imporsi nella sfida del tempo. Tralasciando l'interesse per i suoi progetti militari che lo portarono a Milano, Leonardo era pur sempre un ottimo pittore rinascimentale.
Immaginiamo innanzitutto il momento. In quel periodo la scoperta dell'America e la smodata crescita economica diedero vita al capitalismo e permisero la nascita della borghesia (che si sarebbe affermata in seguito). Il rinascimento artistico e culturale non fu altro che l'effetto più visibile dell'improvvisa disponibilità di oro nelle casse dei governi più ricchi, primo fra tutti quello del Regno pontificio.
Seguendo il filo logico di quello che ho scritto sopra non dovrebbero esserci dubbi circa il beneficio che il denaro porta all'arte.
Senza le risorse economiche non ci sarebbero stati i vari Leonardo, Michelangelo, Raffaello, Van Gogh, Piero Manzoni.
Beh, Van Gogh forse no. Piero Manzoni forse neppure.
Non entro nel merito artistico, sono totalmente incompetente e non è utile al discorso.
L'olandese dipinse la maggior parte dei suoi quadri negli ultimi anni di vita. Il milanese pare fosse sempre poco sobrio eppure gli viene attribuita una produzione copiosa. Il primo era cresciuto nell'ambito dei mercanti d'arte, il secondo era figlio di un'ottima famiglia e non aveva certo necessità di denaro.
L'arte di questi due soggetti, scelti da me quasi a caso tra molti altri, si esprimeva nell'assenza di ritorno commerciale.
Il guadagno lo fecero i loro eredi artistici grazie alla quantità di materiale da loro realizzato, o a loro attribuito.
Van Gogh visse al di fuori della società, Manzoni visse ben al suo interno, forse perfino troppo viste le sue abitudini mondane.
Il primo morì povero vivendo con poco denaro, il secondo morì ricco vivendo con molto denaro.
Entrambi si impegnarono a produrre arte e non denaro e non furono da meno dei predecessori rinascimentali citati sopra.
Ma cosa succede se il denaro trova il modo di influenzare l'arte?
Che succede se il prodotto diventa vendibile? Il denaro vuole volumi, produzione in serie, quantità replicabili e non pezzi unici.
Il denaro non ama l'arte, ama il denaro che l'arte garantisce.
E così arrivò l'industrializzazione, il cinema e la pop-art. Perfino la letteratura divenne popolare.
Sir Arthur Conan Doyle ne trasse giovamento più di quanto si sarebbe probabilmente aspettato.
Oggi l'arte è soggiogata alla viralità, conti soltanto se hai un seguito e sei funzionale alla popolarità che calamiti.
Ma questa non è arte, è marketing
Quando il pezzo singolo, il "masterpiece" artigianale, il prodotto figlio dell'unicità di un soggetto è stato sostituito dalla diffusione, dalla "fotocopizzazione", l'arte morì.
Abbiamo consegnato il mondo in mano ai commercianti... anzi... abbiamo, consegnato il tempio in mano ai mercanti, ma non c'è nessuno in grado di farcelo notare.
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