mercoledì 21 maggio 2014

Geometrie culturali

in un Paese senza guida.

Le geometrie culturali appaiono non già come frattali, bensì come le forme euclidee che troviamo nei giocattoli, ormai desueti, dei bebé.
Ricordiamo tutti quelle tavolozze di legno nei cui fori s'introducono forme colorate. Fare politica in un contesto rigido non è nulla più che tentare di creare soluzioni, rappresentate dai cubi, a problemi individuati dai fori nella tavolozza di legno.


E' il primo approccio concreto al problem solving. L'approccio infantile che stimolerà la nostra curiosità e influenzerà la nostra vita.

L'attuale classe politica italiana sembra più verosimilmente rappresentabile con quei bambini che, incapaci di individuare il giusto blocchetto. Piangono e si disperano nel vano tentativo di far passare il cubo rosso dove dovrebbe passare la piramidina gialla, oppure sorridono garruli mentre attuano la soluzione di comodo, facendo passare la sfera verde nel grande foro dedicato al troppo complicato dodecaedro.

Nessuna soluzione viene trovata con l'ignoranza

E' più facile che un problema sia risolto dal caso, piuttosto che dalla soluzione di comodo, è più facile lasciare che tutto scorra come l'acqua. Ma neppure in questo l'intellighenzia del Paese sembra essere abile.
La tradizione proscrittiva, la determinazione positivista di conoscere e governare gli eventi, rende ciechi d'innanzi all'ineluttabilità del fato.

I bambini giocosi che decidono non capiscono

che per cambiare forma al problema su cui stiamo lavorando ci vuole un falegname. Che non basta attribuire la colpa alla forma errata predisposta dal produttore del giocattolo, questo non farà altro che lasciare irrisolto il problema.
L'industria commerciale delle tavolette di legno non si interessa più da tempo delle esigenze di questo bambino. E' passato il tempo in cui era il nonno a costruire i nostri svaghi, ora giochiamo con quelli delle multinazionali, quelli preconfezionati e talvolta pensati per bambini più capaci di noi.

Basterebbe affrontare problemi diversi attraverso un diverso approccio.


La forma che una cultura dovrebbe avere è quella di un frattale.
La cultura dovrebbe trovare espressione nella replicabilità di un buon modello politico, nella ricerca di una soluzione semplice e variabile, utilizzabile infinite volte senza che questo metta in discussione l'autorità decisoria e anzi muti la forma del problema mentre lo risolve.

La società multiforme in dinamico divenire non ammette pause, non ammette incompetenze, non consente neppure d'imparare o di sapere. Accetta soltanto l'intelligenza che si adatta al cambiamento, che comprende la propria caduca fallacia e l'ignoranza dell'essere umano dinnanzi al cavolfiore*.


* il cavolfiore è un esempio di frattale ritrovabile in natura

venerdì 9 maggio 2014

Forma d'autore


L'autore non ha una forma, direte.

Eppure  io che da quindici anni vivo anche del diritto d'autore vi dico il contrario. Innanzi tutto sono qui a scriverne su un media non protetto, dove le mie parole potrebbero essere facilmente copiate, decontestualizzate e utilizzate perfino contro di me.

La forma dell'autore è quella in cui l'arte prende forma.

Il diritto d'autore è quello che infine appiattisce l'arte e ne lascia un vago sentore di mandorle amare. Avvelena l'aspetto artistico nel momento stesso in cui lo tutela.

Forse stiamo superando lo stato di diritto.

Entriamo in una nuova fase storica, abbiamo normato qualsiasi cosa e anzi attraverso enti specifici stiamo normalizzando tutto, creando norme per l'ortodossia della tecnica, le nostre icone quotidiane.
Il diritto normalizza, permette a tutti la chiara comprensione delle idee e l'espressione più ampia del sentimento di comunione e solidarietà.

Ma uccide l'arte.

Il diritto nell'arte riassume in sé i valori economici e politici, apre gli orizzonti non già all'artista più emozionante, bensì a quello che meglio sa commercializzare la propria immagine di produttore di pezzi unici.

La copia diventa quindi d'ostacolo.

Tralasciamo i copisti di dipinti che hanno storicamente avuto, in maniera più o meno lecita, il ruolo di diffusori della conoscenza e parliamo di altri mezzi. Parliamo di letteratura, musica, fotografia e cinema, che fondarono il loro successo proprio sulla diffusione. Chi non conosce Johann Guttenberg e la sua rivoluzionaria macchina a stampa, chi non conosce i fratelli Auguste e Louis Lumière che misero in movimento la fotografia.
Loro devono certamente il successo alla possibilità di replicare commercialmente i loro prodotti.

La copia è la fortuna dell'arte contemporanea.

E in questo secolo ne abbiamo testimonianza. La diffusione delle idee e dei contenuti è così capillare e veloce che diventa materialmente impossibile controllare l'origine.
Certo, il clouding ne è un ottimo tentativo, salvo che credo porterà non più alla duplicazione dei file, bensì alla duplicazione di intere banche dati.

La gente è disposta a pagare per le copie, un tempo gli autori più capaci erano anche più apprezzati, nell'etimologia economica del termine; pensiamo all'antichità, le opere che realizzavano venivano utilizzate per abbellire i muri degli edifici. Passando per il rinascimento anche gli edifici sono diventati sempre più oggetto del culto dell'arte. Apprezziamo la singolarità di un edificio non meno di quella di un quadro, o di una foto e non meno desideriamo averne copia.

I brevetti, il copyright, il diritto d'autore in generale.

Diventano sempre più emblema di un epoca che sta, almeno temporaneamente, tramontando. Forse non abbiamo ancora avuto modo di fare questa esperienza in cui non esiste tutela dell'autore.
La copia sfrenata, collegata alla veloce diffusione delle idee e quindi dei prodotti, consentirà a chi ha veramente idee innovative di emergere, consentirà a chi ha l'ardire commerciale di guadagnare, renderà tutto più frenetico etereo e democratico.
Forse il futurismo è nell'espressione del caos. Il futuro imprevedibile cancellerà magari il culto della persona o lo ridurrà ad una fugace esperienza, tanto da consacrare anarchicamente Andy Wahrol quale più grande filosofo della contemporaneità.