mercoledì 31 luglio 2013

Il mio braccio

Il mio braccio è decisamente troppo corto per misurare il mondo, e il vostro?

Esiste un metro per ciò che non conosciamo? Come facciamo a valutare ciò che ancora non abbiamo incontrato e neppure immaginato?

Non possiamo farlo.

Abbiamo allora due scelte; accorciare il mondo affinché il nostro metro sia utile, cercare una nuova scala di valori.
Ma come la troviamo una scala astratta?

La immaginiamo.

Immaginiamo di accogliere costruttivamente ogni novità che ci si presenta nella vita, immaginiamo di avere una mente aperta e pronta al nuovo, pur mantenendo una certa criticità che ci impedisca di diventare vittima della nostra esterofilia.
Ma come possiamo valutare qualcosa che cambia la nostra cultura? Come definire il giusto equilibrio a priori?

Non si può.

Non ci resta che affrontare quindi la vita con meraviglia e sospetto, con felicità e sgomento, con passione e critica.
Non ci resta che guardare il mondo, facendo misure provvisorie, mentre spendiamo la vita alla ricerca continua di quel metro adatto che non troveremo, felicemente, mai.

sabato 27 luglio 2013

La vita sull'albero

"Schopenhauer e Nietzsche per primi insegnarono il profondo significato del non senso della vita e come tale non senso potesse venire tramutato in arte" [Giorgio De Chirico]

Inutile caricare di significati ciò che non ne ha; come la vita, che ne è del tutto priva.

Più precisamente la vita può avere significato soltanto se guardata all'indietro, sempre che sia nostro interesse attribuirgliene uno. Vivere è come percorrere il ramo principale di un albero partendo dal tronco. dinnanzi a noi, nascoste tra le verdi foglie del futuro, le infinite scelte ancora da fare; dietro noi il tronco rugoso che sintetizza quelle fatte.

(reminder: ricordarsi però di non sfrondare l'albero per vedere meglio il percorso, perderemmo del tutto la sorpresa e resteremmo accecati dalla luce.)

Tornando al futuro, con la metafora dell'albero, sembra semplice intuire che non possiamo pianificarlo più di tanto. Non sappiamo ancora quali ramificazioni sceglieremo, ma neppure fino a quando i rami reggeranno il nostro peso prima di consegnarci alla luce. A proposito, la luce della vita, il tunnel della premorte, sono una "boiata pazzesca".

Il significato della vita è nel presente, è soltanto nel qui ed ora che possiamo riassumere le nostre aspettative per il futuro e dare un senso al Tutto tenendo conto del nostro passato, anche se è un lavoro decisamente complesso.

La vita pensata in un continuum dinamico è decisamente impegnativa. Ci vuole tempo per imparare che è un argomento complesso e che non si può semplificare come tanto ci piace fare.

La semplificazione non è altro che la potatura dell'albero. Se vi piace vivere tra rami secchi, beh semplificate a più non posso.Cercate il modo per ottenere il più dal meno, del massimo risultato con il minimo sforzo, il godimento dell'abbondanza a detrimento del piacere della singolarità.
Se invece preferite la fugacità di un attimo, la singolarità dell'evento, la sorpresa; non vi resterà che tentare di cercare il sentiero migliore nella foresta pluviale delle opportunità, tra ostacoli e pericoli, nell'intrico di rami, foglie, insetti e predatori che si annidano sul vostro albero.

Il presente esiste, il futuro e il passato no. E con questa determinazione non possiamo che dare significato al cammino che stiamo facendo, pur senza ignorare ciò che ci è dato di vedere. Procedere senza una road-map non vuol dire farlo ad occhi chiusi.

E così torniamo a Schopenhauer, a ricordarci di godere dell'attimo presente, del piacere di scegliere qui ed ora senza lasciarci accecare dalla luce del futuro.
Vivere avviluppati nell'abbraccio del nostro albero cercando, più che di capire come o quando scendere pensando che a terra si possa stare più comodi, di godere dell'opportunità di restarci per ora...

...finché morte non ci separi.

lunedì 22 luglio 2013

Il prezzo della felicità

Matematica e narrativa.

Apparentemente distanti, ma certamente complementari. Il primo esponente di questa stintesi che mi torna alla mente è il visionario Charles Lutwidge Dodgson, altresì noto come Lewis Carroll, matematico e scrittore come del resto ognuno di noi dovrebbe essere

Matematica ed economia sono la base pratica su cui costruiamo la vita quotidiana, le nostre obbligazioni, la nostra necessaria fame di marchi sociali che ci garantisca sufficiente approvazione da parte dei nostri simili.

La narrativa e la parola, sono invece il nutrimento del nostro onirico vivere. Attraverso i voli pindarici della mente, attraverso la fantasia riusciamo a nutrire quella parte morale e metafisica del nostro essere.

Tutto questo richiede talento.

Richiede talento saper gestire la parte economica della nostra vita eludendo, o meglio assecondando solo in parte, i precetti che gli agenti economici emettono con l'intento di rientrare in possesso di ciò che ci avevano illusoriamente prestato... ovvero il denaro
Richiede talento saper vedere oltre la realtà delle cose sapere immaginare il mondo in cui vorremmo vivere.

Per la fortuna di molti il talento narrativo si può comprare. Lo possiamo prendere in prestito imitando la vita di qualche personaggio famoso, lo possiamo comprare con gli oggetti frutto dell'altrui creatività, lo possiamo acquistare sotto forma di libro, film, canzone per rendere vivida l'impressione di essere ciò che altri hanno immaginato potesse esistere.
Possiamo comprare la fantasia altrui con il denaro

Ma la matematica applicata all'economia, il denaro, non si può immaginare. O meglio, possono immaginarlo solo alcuni, solo coloro i quali hanno il potere di renderlo reale. E così un semplice pezzo di carta si trasforma in qualcosa di concreto.
Un concetto astratto diventa metro di valutazione della nostra fantasia.

Quanti soldi occorrono per una vita da sogno?

Zero per chi ha talento.
Zero per chi sa immaginare
Zero per chi sa rendere sublime la propria attualità
Zero per chi sa rinunciare alle sovrastrutture

Zero è il prezzo della felicità.

giovedì 18 luglio 2013

La morale e la vergogna

Se la morale è universalmente definita come un valore individuale che si esprime nel mettere in atto l'interesse futuro della collettività, piuttosto che l'interesse immediato del singolo, com'è possibile che ancora, in Italia, si consideri più proficuo curarsi degli "affari propri"?

Perchè  la cosa comune è sempre la cosa di nessuno e il disprezzo si manifesta in qualsiasi ceto sociale?
Cos'è andato storto in questo Paese. Forse che gli interessi di alcune parti non collidano con quelli del tutto?

Come si può pensare che il mero interesse personale ci darà, in un mondo globale, qualche vantaggio?

E oggi, in questa grande collettività nazionale, ci troviamo con debiti inimmaginabili creati dall'immediatezza delle soluzioni individuali. Genitori, nonni, che scaricano su figli e nipoti l'onere di mantenere la loro fortuna, accumulata spesso alle spalle di altri genitori o nonni e sulla loro progenie.

Vergognatevi, vergognamoci tutti.
Abbiamo gozzovigliato e rimandato i problemi sulle esili spalle dei nostri nipoti. Abbiamo lasciato loro il residuo pubblico dei nostri guadagni privati.

Eppure, senza morale e senza vergogna, festeggiamo con gioia i loro compleanni, comprando loro regali costosi, pagati con cambiali firmate sul loro futuro.

domenica 14 luglio 2013

Dell'impossibilità di non riflettere

Che sulle prime può limitarsi a non essere uno specchio.
Approfondendo però la questione possiamo pensare di attribuire a "riflettere" anche il significato proprio dell'essere vivente.

Riflettere è pensare; pensare è esistere; esistere è essere; essere è vivere.

L'essere vivente riflette.

Riflettiamo mai però sulla qualità del pensiero? Ci soffermiamo a sufficienza sul tipo di pensieri che si generano? A dire la verità non ci soffermiamo a sufficienza su alcunché.

La qualità del pensiero è allora insufficiente, o casualmente sufficiente.

Ma un pensiero casuale può essere un pensiero di qualità? E' la casualità quello che desideriamo produrre?
Può la consapevolezza nascere dal caso.

Il caso.

Il caso nasce dal caos. Sarà casuale che siano anagrammi? Eppure anche l'ordine nasce dal caos, quindi anche dal caso.

In conclusione la situazione appare semplice.
La non riflessione che caoticamente genera il caso, può essere ordinata da un pensiero di qualità composto da un essere vivente, purché si utilizzi un chiaro e approfondito pensiero.

Appare quindi evidente che non è possibile non riflettere, l'uomo quindi non è che un inconsapevole specchio.

mercoledì 10 luglio 2013

Viralità


Vedo troppe persone intenzionate a divulgare la propria immagine di sé, convinti che coincida con quella sociale. Ambiziosi propinatori del proprio ego, più grande spesso della propria intelligenza.

Ed è forse questo il successo della società di massa, nella carenza assoluta di critica, di verifica e di accettazione di ciò che non sia diffuso.
Non si viene più scelti dai lettori, dagli interlocutori.


Ci si propone in maniera virarle, quasi ad essere diventati un'infezione sociale che non si può arrestare.

Si impone agli altri l'autocelebrazione virale di quello che pensiamo d'essere, e incredibilmente ci autoaffermiamo Dov'è finito il dialogo, la capacità interattiva scollegata dai contesti pubblici, la capacità di rapportarsi agli altri, di vincere e di perdere, ma soprattutto di mutare individualmente per sincronizzarsi con la società?


Non voglio essere virale, voglio essere piacevole, ma è dura esserlo quando è piacevole soltanto ciò che è virale.

domenica 7 luglio 2013

Osservare il Tempo

Aver passato la vita ad osservare la gente e scoprire poi di averla osservata attentamente non rallegra.
Così ti guardi intorno sperando che non ci sia nessuno. Nessuna di quelle persone così simili alle altre, così prevedibili e conformate, così adatte al contesto in cui si trovano, così adattate al contesto da diventare tappezzeria sociale.
Non resta che scriverne, raccontare e raccontargli quanto inutile sia l'affanno che regola le loro vite, quanto tutto si riassuma in una estenuante ricerca del Graal.
Fermo.
Adoro stare fermo a guardare il Tempo, ad acquisire consapevolezza dell'ignoranza, a comprendere che non ci sia nulla da fare che non sia già stato fatto, da dire che non sia già stato detto.
E' rassicurante sapere di poter essere adatto all'infinito, essere a mia volta tappezzeria di un contesto solo un po' più ampio di quelli in cui spendo parte del mio tempo.
E' rassicurante sapere di essere niente più di niente.

sabato 6 luglio 2013

il Male

Il Male è l'indifferenza.

Non si può guardare il mare al tramonto e non sentirsi emozionati. Se questo succede, se davvero riusciamo a non sorridere o a non commuoverci, beh, siamo il Male.
O almeno una piccola parte.

Siamo il Male quando indifferenti ignoriamo l'anziana caduta al suolo dinnanzi alla parrocchia, quando ignoriamo la richiesta di informazioni del passante, quando ignoriamo le norme più comuni dell'educazione civica.

Il Male è l'indifferenza dell'ignoranza.

Non si può pensare che non via sia differenza tra vivere in un posto pulito o nella sporcizia, tra vivere in maniera attiva e civile, piuttosto che vivere come parassiti, tra vivere tra le arti e la cultura o vivere nell'inedia.

Il Male è l'indifferente inedia dell'ignoranza.

Non si può vivere nell'attesa delle vacanze estive, del fine settimana fuori porta, del momento in cui non saremo chi siamo in tutti i giorni qualunque della nostra vita.

Noi siamo quelli che si svegliano ogni mattina.
Se ogni mattina, nello specchio, ciò che vedi è la tua immagine probabilmente non vedrai neppure la pochezza del tuo essere quotidianamente indifferente alla cultura e alla bellezza; ma se una mattina, nello specchio, non vedrai la tua immagine ma te per intero, beh, sappi che quello potrebbe essere il primo giorno della tua vita, quella in cui inedia, indifferenza e ignoranza saranno solo un triste ricordo di quando

eravamo il Male.

lunedì 1 luglio 2013

Morte della pop art

Popular è diventato sinonimo di scadente e volgare.
Aver messo l'arte in mano alla massa, a questa società di massa che altro non è che un niente ammassato, non ha fatto altro che uccidere l'arte. E' morto il senso del bello, la ricerca dell'elemento originale, è diventato arte ciò che ordinariamente facciamo con un clic.
E' arte aprire photoshop e togliere saturazione ad una foto.
E' arte fotografarsi davanti ad uno specchio per le vie di una qualsiasi città esotica, esotica peraltro semplicemente per questione di latitudine.
E' arte scrivere, magari copiare, aforismi sull'amore e sul passare delle stagioni.
E' arte tutto ciò che una volta era dell'artista.

Così oggi è artista colui che sa vivere senza farsi riconoscere, colui che non fa altro che pensare prima di agire, colui che è in grado di esistere senza la società.

Massa, una componente fisica tangibile, l'ostacolo stesso al cambiamento, l'ostacolo del pensiero, dell'individualità errante che crea il pensiero originale.
Non c'è arte nella massa.

Ora che la pop art muore, mi sento più leggero, mi libero dalla massa e apro la mente.