giovedì 3 dicembre 2015

Rousseau e la tassa sulle biciclette

... è incredibile, ma è vero.

Essere governati da sfaccendati porta a leggere notizie paradossali, anche se ancora per un po' seguite da smentite.

Succede che nel periodo natalizio, che coincide con il licenziamento della Legge di stabilità, la famigerata Legge finanziaria del passato, appaia la simpatica proposta di un parlamentare circa la tassazione delle biciclette.


Questo parlamentare, conscio del fatto che nel suo paese di pigri sempre più persone motorizzano le biciclette, a volte chiamandole perfino "ecologiche", ha pensato che non fosse giusto veder circolare dei velocipedi motorizzati senza targa, e abbia voluto semplicemente ripartire dal 1905 e iniziare a targare questa nuova categoria di motocicli.

Il punto chiave del discorso è che il regalo natalizio di questa classe dirigente è quello che ormai cercano di farsi da soli. Un tempo, quando gli ideali romantici e cavallereschi di onore e verità erano diffusi tra i ceti più elevati, le persone si sarebbero vergognate di perorare apertamente i propri interessi personali e anzi ci si faceva un vanto di eliminare ogni conflitto.

Ma nel novecento i valori sono progressivamente cambiati

La classe dirigente da nobiliare è diventata elettiva, sempre più incapienti si sono dedicati alla carriera politica professionale, sempre più persone senza valori e senza competenze hanno intravisto nella politica l'unica risorsa per l'elevazione sociale.

E noi glielo abbiamo lasciato fare

Con noi intendo quelli che potevano accorgersene, quelli che si sono defilati dalla vita pubblica per meglio tutelare i propri interessi, quelli che hanno investito sui lobbisti o addirittura sulla creazione di soggetti politici affini ai propri interessi.
Questa corruzione dilagante dei valori sociali ha fatto ciò che doveva, ha corrotto e corroso un sistema fragile e non ancora strutturato riducendolo ad uno scempio.

il Natale non è che l'assalto alla diligenza

E così politici di ogni fazione, mandatari di interessi disparati e spesso personali, si mettono in mostra assaltando quella immensa torta che si chiama Fisco con l'unico tentativo residuo di tenersi il più possibile, senza più occuparsi di restituire qualcosa indietro.
Si tagliano le pensioni d'altri, l'assistenza sanitaria d'altri, i servizi d'altri con uno strumento fortissimo che è la legge e la capacità di scriverne di nuove.
Alla stessa maniera il potere giudiziario dà interpretazioni sempre più personali delle intenzioni del Legislatore e in questo conflitto a distanza il potere esecutivo fa i propri interessi, tutela la propria salute e si gira dall'altra parte.

Dove è finito Jean-Jacques Rousseau?

E' chiaramente morto secoli fa, ma le sue idee stanno morendo ora, con la fine della democrazia moderna.
L'equilibrio dei poteri si è perso con la disgregazione della società, con l'informatizzazione dei rapporti sociali e con la globalizzazione che ha superato il nazionalismo, concetto basilare per l'auto-determinazione delle comunità nazionali.
Il mondo è cambiato, mentre la rappresentanza è sempre meno rilevante e duratura e mentre si rende necessaria un'aggregazione globale i popoli guardano al passato riportando in auge guerre di religione o identificazioni nazionaliste.
C'è chi bestemmia mentre difende il crocifisso nelle scuole pur non mandando il figlio alle lezioni di religione, chi vuole fuori gli stranieri dal paese e non si ricorda di come fossero maltrattati i propri parenti all'estero o i propri genitori migrati al nord per lavorare nel dopoguerra.

C'è troppa superficialità in un momento in cui servirebbero intellettuali.

Avremo quello che la gente chiede, nuovi leader politici carismatici e risoluti, nuove guerre e nuove prospettive alla fine di esse.

Come trovo scritto su un palazzo della mia città, nascosto e quasi ignorato, dedicato agli invalidi di guerra e dove è stato recentemente aperto un pub, di cui mi sfugge il senso se non quello di incassare denaro:

 «La guerra è la lezione della storia che i popoli non ricordano mai abbastanza»

venerdì 6 novembre 2015

La confusione arricchisce

...ma soltanto gli imbonitori e gli scippatori. Ed è con questa consapevolezza che ogni giorno guardo il telegiornale.

Tra i rari fatti di cronaca estera, frammentari e confusi, trovo infinite circonlocuzioni di concetti così poveri da lasciare attoniti.

La politica nostrana si "parla addosso" in un sistema consolidato di gestione dell'ignoranza, in cui non è possibile intavolare alcun discorso intelligente, dove l'unico argomento di convincimento di masse sempre più ignoranti e avviluppate da tale stupidità, è dato dagli attacchi ad personam al leader politico di turno.

In questo contesto surreale, dove tutti sembrano avere un preciso scopo nell'universo e comprendere l'esatto significato della vita, mi ritrovo a pormi domande esistenziali e soprattutto a ricercare quei valori che contraddistinguono l'importanza dell'esistenza.

Vivere in fondo non può essere soltanto aspettare di morire.

Ma non è neppure tentare di vivere in eterno o di apparire eterni.

Eppure i malati di selfie, quei soggetti interessati alla vita sentimentale dei politici o a ricercare nuove classi contro cui lottare, sembrano avere tutte le risposte. E i telegiornali non si discostano granché dal certificare queste sicurezze.
La confusione che si crea alimenta gli schieramenti, blandisce le fazioni in lotta e rafforza il convincimento di quanti si ritengano nella ragione.

Non c'è ragione che tenga di fronte all'ineluttabilità del cambiamento.

Dovremmo comprendere che il significato, la funzione, è nel vuoto, nell'assenza, mentre la presenza di qualsiasi cosa rappresenta soltanto la struttura e così nelle opinioni, nella verità.

La verità esiste soltanto nell'assenza di interlocutore, poiché ogni nuovo punto di vista pone a rischio le nostre certezze.

Cavalcare il cambiamento sembra un'attività alla portata di tutti, ma che alla fine interessa soltanto gli imbroglioni e gli scippatori, quelli che del movimento delle masse sanno approfittare, quelli che sanno far credere che in fondo nulla stia cambiando quando tutta la scala dei valori è in discussione.

E così mi appresto a cambiare, felice di farlo, mentre tutt'intorno a me infuria la lotta per la conservazione dello status quo a discapito degli altri, mentre nel fuggi fuggi generale di quanti cercano di restare al loro posto nessuno si rende conto che quel posto neppure più esiste e sovente il castello di carte che rappresenta la nostra vita è già crollato.

Infine, per non dare appigli ai sollevatori di folle, non ci resta che citare Gandhi: «Siate il cambiamento che volete vedere nel mondo», ma soprattutto siate il cambiamento.

martedì 8 settembre 2015

Gli Italiani non esistono

Qualcuno sa dirmi quante volte appare la parola "italiani" nella Costituzione?

Appare una volta sola, nell'articolo 51 quando si tratta di parificare "ai cittadini gli italiani non appartenenti alla Repubblica". Per il resto si parla di "cittadini" e come tale si discriminano tutti coloro che possano sentirsi parte di questa cultura pur non avendo i documenti di nazionalità.

Si discriminano gli Istriani esuli in terra straniera, ma anche tutti i figli di Italiani che semplicemente e senza pretese nei confronti dello Stato, si sentono parte della cultura italiana pur non avendone la "patente" fornita con il passaporto. Anzi forse ci sono più Italiani all'estero che nel territorio amministrativo che si riconduce alla Repubblica Italiana.

In fondo essere italiani non è far parte di una comunità, ma esclusivamente far parte di un'organizzazione amministrativa che governa un territorio. Dal tempo dell'unificazione, voluta dai Piemontesi con un'azione di conquista, non si è fatto molto per creare quel senso di comunione proprio di una nazione.

Nessuno ha ascoltato D'Azeglio e il suo «Fatta l'Italia, facciamo gli Italiani»

E si è dato fiato ad egemonie locali, dinastie provinciali, che hanno accentuato le separazioni in uno Stato che, dopo la guerra di liberazione, si è proposto unito e liberal-democratico.
La centralizzazione dello Stato italiano, il suo ispirarsi tardivamente e in maniera ambigua alle due grandi rivoluzioni del settecento, ha creato un compromesso storico senza futuro.


Sarebbe servita più attenzione al passare del tempo, alla trasformazione della società e alla globalizzazione. Avremmo avuto bisogno di interessi condivisi e invece siamo rimasti stritolati dalla Guerra fredda e i due mondi in contrapposizione, siamo rimasti guelfi e ghibellini, milanisti e interisti, laici e religiosi, settentrionali e meridionali, ma mai italiani.


Italiani è ormai solo appartenere, non è purtroppo essere, siamo privi di un tratto distintivo comune e ci ritroviamo più nella sigla provinciale sulla targa della macchina che nel tricolore. Italiano è il passaporto che interessa più agli stranieri e che eleviamo a baluardo di civiltà offrendolo ai più meritevoli come un dono regale, senza renderci conto che ciò che interessa loro è il passaporto dell'Unione Europea.
Perfino i migranti sono più attenti all'evoluzione del mondo e comprendono che gli Italiani non sono un popolo, bensì gli abitanti di una regione d'Europa.

Il tempo passa e il Mondo cambia, portandosi via quello che poteva essere questo popolo che si è invece accontentato di occupare un territorio. Non ci sarà che il ricordo di questa cultura

Ancora una volta aveva ragione il Barone Von Metternich «La parola Italia è una espressione geografica»

sabato 1 agosto 2015

Walt Disney nemico dell'umanità

...poiché credo che sia il maggior responsabile del disfacimento della cultura occidentale.

Un giorno qualcuno decise di far divertire gli adulti nella stessa maniera in cui si divertivano i ragazzini e il mercato del entertainment, del divertimento, divenne una gigantesca ruota panoramica che ci estranea dalla società.

Vaghiamo da un divertimento a un altro, lavorando per permetterci di non lavorare, bevendo e stordendoci per alterare la nostra percezione della realtà, delegando ad altri i compiti che non vogliamo affrontare, un po' come se fossimo bambini che preferiscono dedicarsi al gioco che al lavoro.

Nel frattempo Walt Disney ha rilanciato e ammodernato modelli sociali settecenteschi, prendendo dalla tradizione Cenerentola e il Principe azzurro e regalandoci il sogno americano.

Così se i nostri nonni erano impegnati a trasformare la fatica in cibo, noi trascorriamo le giornate trasformando il cibo in divertimento, giacché di lavorare non v'è traccia.

La nostra attività primaria, trascorso un necessario numero di ore in un luogo in cui si presume dobbiamo produrre risorse o servizi, è trovare uno o più modi per consumare il denaro ottenuto in attività ludiche e acquistando oggetti che spesso non hanno altra utilità se non quella di fornirci divertimento.

E oggi sempre più persone, generazione dopo generazione, si orientrano al divertimento, al frivolo pensiero, alle ferie, al week-end e sempre meno ad altri aspetti della vita, come ad esempio la fomazione culturale, la vita sociale, la consapevolezza di sé.

Non a caso i dilemmi filosofici dell'ottocento, nichilismo in testa, hanno perso la loro capacità di penetrazione con l'evoluzione progressiva della società di massa.
La massificazione ha portato all'uniformità, l'uniformità alla spersonalizzazione, la spersonalizzazione all'assenza di critica, l'assenza di critica alla stupidità.

Chi non ricorda il film "L'attimo fuggente"?

Questo film si presta a diverse chiavi di lettura. Mentre ascoltiamo le parole del professore che ci incita a cogliere il nettare della vita attraverso l'imperativo latino carpe diem, possiamo trovare nel giovane protagonista che interpreta il personaggio shakespiriano di Puck, la necessità di seguire i propri sogni e vivere i propri desideri ribellandosi all'autorità.

Qual'è la soluzione allora? Semplicemente non esiste.

La mancanza di difficoltà della moderna società, la sicurezza del focolare e della ripetizione continua delle attività principali, ha in sintesi ofuscato la capacità di valutazione. Oggi sappiamo soltanto decidere in maniera precostituita, agire e non reagire.

E così andiamo a divertirci perché lo abbiamo individuato come attività primaria della nostra esigenza e patiamo la depressione nella privazione determinata dall'impossibilità di avere ciò che desideriamo.
Abbiamo necessità di controllare le nostre vite per non essere destabilizzati dalla variabilità dell'ambiente, per poter decidere quali siano i cambiamenti che vogliamo inserire nelle nostre esistenze.

Walt Disney ci ha fatto credere che essere felici sia realizzare i desideri, e non ottimizzare le variazioni che s'insinuano nelle nostre vite; ci ha fatto pensare che desiderare porti alla felicità, relegandoci a vite di infinita tristezza per ciò che non possiamo avere.

Non ci resta quindi che aguzzare la mente, tornare a pensare, tornare a risolvere problemi, tornare a porsi più domande che a cercare soluzioni. Smettere di divertirsi con attività rassicuranti e divertirsi con l'imprevisto.

La vita non è nel divertimento, il divertimento è nella vita.

venerdì 19 giugno 2015

Osservazione partecipata di una morte annunciata

... in pratica restare a studiare un sistema che si sta disfacendo.

Del disastro rappresentato dall'Italia c'è poco da dire, non perché non ci sia materiale, ma perché le notizie di degrado economico e sociale sono così incalzanti e sempre nuove che non vi è nulla di interessante da dire che domani non sia già cronaca di poco conto.

Il paradosso di questo Paese è che il malcostume e la malversazione, l'estorsione e la frode, la menzogna e l'opportunismo sono così radicati da non rappresentare altro che la consuetudine, a prescindere dal livello sociale in cui ci si trova.

Così se analizziamo i comportamenti dei politici troveremo peculato,
Se controlliamo quello dei dipendenti pubblici malversazione,
Quando osserviamo la mafia è estorsione,
Guardando le imprese troviamo frodi,
Se fermiamo l'uomo della strada, nel migliore dei casi qualcuno che ci dice che non pagare le tasse è l'unica arma di cui il povero cittadino dispone per difendersi dallo Stato canaglia;

Anche se poi il privato cittadino va a votare per garantire il proprio interesse.

Nulla di nuovo insomma, in secoli di storia l'Italia è sempre stata rappresentata come una terra di affari e di scarsa morale, dove gli interessi locali e la litigiosità non hanno mai creato terreno per la nascita di un'unità nazionale di rilievo.

Il punto è che chi rappresentava un'Italiettta di truffatori, in fondo aveva ragione.

E così ci si trova ad analizzare una società colabrodo in cui l'egocentrismo e il narcisismo esondano piuttosto che colare tra i fori, da cui peraltro escono a fatica le risorse comuni che servirebbero a concimare l'economia e la ripresa della società.

Questa è una nazione fantasma, una nave che affonda pullulante di topi in cerca di salvezza, mentre il comandante/pifferaio magico ha già trovato la salvezza su uno scoglio; da dove millanta la sua potenza e la condivisione di un futuro migliore per convincere i marinai a restare a bordo.

C'è poco da salvare in una nave fallata alla deriva

Non resta che scendere finché si può e ricominciare a costruirne un'altra, magari a questo giro con persone più oneste e affidabili,
Perché quando c'è da lavorare è sempre meglio avere accanto qualcuno che lavora quanto noi, né di più, né di meno, esattamente alla stessa maniera; perché l'equità nasce dai doveri e non dalla pretesa di diritti.

venerdì 15 maggio 2015

La società di massa e il piumino con le infradito


Adoro la geniale lugimiranza, la visione anticipatoria di Alexis de Tocqueville. sul suo pensiero ho trovato un testo interessante che vale la pena di citare:
...Nel processo di de-socializzazione democratica, l’individuo non è più realmente progettuale e sovrano, ma un atomo in una società massificata. Tale processo, non produce solo atomi indifferenti, ma anche gerarchie e dispotismo politico: la realizzazione delle antitesi della democrazia. L’individuo democratico, come ci descrive sempre Elena Pulcini, delega tutto, poiché avendo la preoccupazione di occuparsi e di coltivare i valori effimeri, legati al presunto benessere individuale, incarica tutto alla gerarchia governativa, gestendo solo i suoi “piccoli affari...”. [fonte www.istitutodipolitica.it]
Ci sono persone nella Storia che sanno vedere il mondo con secoli d'anticipo sulle persone comuni.

Ci sono poi persone che sanno cogliere l'attimo, come la mia amica Gigliola Lippi che quest'oggi ha colto il passaggio sul lungomare di una persona con infradito e piumino d'oca.

Ci sono persone, come quella vestita a casaccio, che sanno soltanto vedere gli oggetti e non ne comprendono il significato, riducendosi a semplici appendiabiti acritici di prodotti griffati.

E così torna in mente una poesia di Lao Tsu (Cento raggi) legata al valore della funzione che si esprime attraverso il vuoto.
La funzione non può stare in un oggetto, se prendiamo una tazza il suo valore è nello spazio necessario a contenere il liquido, in una scarpa il vuoto che contiene il piede, in un'auto lo spazio necessario ad ospitare persone e oggetti che devono essere trasportati.

Eppure troppa gente vive come anticipato a metà XIX secolo dal sociologo francese.

Troppa gente pensa a delegare le scelte, a seguire pedissequamente indicazioni partigiane di chi ha interesse a far adottare certe decisioni. La società di massa è basata sul following, l'adozione di comportamenti codificati e preordinati da una leadership di varia natura. Determinata l'appartenenza ad un gruppo sociale se ne seguono le regole e lo si difende a spada tratta per non mettere in discussione le proprie scelte.

L'unico esempio di controcultura attiva del novecento è secondo me nella cultura Rock, nella indefinita appartenenza a un contesto sociale con regole incerte e in continua mutazione e contaminazione, la ricerca di sè stesso all'interno di una società atomistica in cui il valore del singolo è più importante del valore del tutto.

La cultura rock affonda le radici nella migrazione dei lavoratori dei campi di cotone del Sud degli Stati Uniti e aveva tratto vigore nell'emancipazione dei neri, aveva preso coscienza con il '68, era diventata ostile negli anni '70 ed era esplosa poi negli anni '80. Essere rock allora voleva dire, non tanto essere ribelli e avversare anarchicamente l'ordine costituito, bensì avere un approccio individuale e libero rispetto alle regole della società. Essere liberali, accettare la diversità per poterla esprimere a propria volta.


Il crollo del muro di Berlino sembra aver portato al crollo dei valori liberali in molte società di massa.
Il conformismo è diventato un valore centrale della cultura e ha spazzato via ogni residuo di pensiero individuale.
Si è affermato l'uomo "di Tocqueville", quello che non pensa e che esce di casa con la giacca da montagna e le ciabatte da spiaggia, è sempre più diffuso quella sorta di automa che pensa meno del suo frullatore hi-tech.
Viviamo nei tempi moderni di Charles Chaplin, ma non più in quella catena di montaggio operoso con cui ci si guadagnava il pane, ma in una "catena di smontaggio" in cui non siamo altro che ingranaggi senza valore individuale di un sistema olistico di produzione e consumo.

lunedì 27 aprile 2015

Il marketing e l'ambientalismo

...due aspetti dopotutto molto diversi; eppure.

L'idea mi è frullata in mente quando ho scoperto cosa sia una ebike e come venga presentata. La ebike è una bicicletta elettrica che alleggerisce il carico nella pedalata per agevolare l'utilizzatore e minimizzare lo sforzo.

La ebike è una bicicletta elettrica, ed effettivamente non è un'auto elettrica.

L'auto elettrica è "intelligente", perché riduce le emissioni inquinanti in città e rende più salubre l'aria che si respira. Su questo però devo dire che la comunicazione deve migliorare, perché oggi in Italia, ancora troppa gente lascia l'auto non elettrica in sosta con il motore acceso senza pensare che quello che esce dal tubo di scappamento è un insieme di polveri sottili, anidribe carbonica, vapore acqueo e prodotti di combustione nocivi. Tutti però sono d'accordo sul fatto che l'auto elettrica è una gran bella invenzione perché riduce l'inquinamento urbano.

La ebike cosa riduce?

Nulla se non la fatica del ciclista. Non riduce il consumo di calorie, perché assiste lo sforzo e fa risparmiare fatica, non riduce le emissioni nell'atmosfera perché la bicicletta tradizionale, quella del diciannovesimo secolo, non produce alcuna emissione, se non l'odore di sudore del pedalatore.

La ebike con grande probabilità inquina!

Certo potrebbe essere alimentata da una centrale elettrica da fonte rinnovabile, ma con ogni probabilità non avremo una pala eolica da giardino, un pannello fotovoltaico personale, una pompa di calore geotermica in cortile.
La stragrande maggioranza dell'energia è prodotta con fonti fossili, e per produrre l'energia elettrica contenuta nelle batterie del biciclo, e trasferita dal motore al pedale nell'azione di assistenza alla pedalata, da qualche parte del mondo c'è una centrale elettrica a carbone, gas o nucleare che produce scorie o anidride carbonica e inquina l'aria del vicino.

E qui arriva il marketing

Perché sfruttando l'atavica pigrizia del consumatore medio, il marketing non presenta la bicicletta elettrica come alternativa alla assolutamente non inquinante bicicletta, bensì come alternativa a tutto ciò che inquina di più.
Il pigro medio riterrà, in maniera del tutto acritica, di essere un benefattore del pianeta e anzi, giustificando così la propria scelta inizierà una crociata, pigra, per la diffusione della ebike.
Magari questa crociata diventerà tendenza, poi moda e in men che non si dica tutti gli utlizzatori di antiche biciclette diverranno possessori di mezzi di locomozione green.

E così nella calda coperta delle nostre convinzioni, aumenteremo la necessità di energia "pulita" costruiremo centrali eoliche non inquinanti, pannelli fotovoltaici ecologici, turbine idroelettriche; le costruiremo con altoforni e stabilimenti siderurgici azionati da fonti green, ma che producono scorie reali.

Ogni modificazione del sistema pianeta è un'azione antiecologica

Pur senza scomodare il gatto di Schrödinger, possiamo affermare che nulla di quello che facciamo è realmente senza conseguenze. Dovremmo soltanto mettere una mano sul viso prima che sul portafogli e pensare un po' di più, prima di lasciarci rapire dal demone del marketing.

giovedì 26 febbraio 2015

Lettera a Sara

Avevo intenzione di scriverti una poesia, ma ho finito con il pensare più al tuo futuro che al mio presente, così le emozioni travolgenti provate alla tua nascita, quella incontenibile sensazione di gioia, quello tsunami d'amore che mi ha travolto, hanno lasciato un piccolo posto alla preoccupazione per il tuo futuro.

Ti scrivo quindi per metterti al corrente di cosa ho imparato durante la mia permanenza, che mi piace pensare ancora non troppo lunga, in questo mondo. Sono sicuro che quando leggerai questo testo quaranta anni ti sembreranno un'eternità, ma ti assicuro che se avrai voglia di crescere non saranno che l'inizio e sospetto che neppure cento saranno sufficienti per smettere di amare la vita e la conoscenza.

Della mia esperienza ti lascio alcuni consigli, non una paternale, ma una specie di guida per l'uso. Innanzi tutto leggi, non importa in che formato sia quello che leggi, io adoro leggere libri di carta, ma ciò che conta è apprendere dagli altri ciò che non sappiamo o che non abbiamo ancora pensato.

Leggi e pensa, usa il tuo cervello per analizzare il mondo, per farti un'opinione su ciò che ti circonda e per pensare in ogni momento di esserti sbagliata. La ricerca della conoscenza contiene in sé la consapevolezza dell'ignoranza. Soltanto “chi sa di non sapere” può imparare e soltanto “chi pensa esiste”. Se trovi queste due affermazioni intelligenti sappi che non sono mie, ma di Aristotele secondo Platone e Descartes. Non fermarti insomma alla tua esperienza, perché una vita non è sufficiente per esistere dignitosamente, attingi dagli altri, succhia il midollo della cultura e della conoscenza.

Pratica dello sport, cura il tuo corpo con dovizia ma senza ossessione, tutto nella vita è in equilibrio e se spendi troppe energie in una direzione ne dovrai trascurare altre. L'attività fisica è assolutamente complementare alla mente, non c'è sport che non richieda dedizione, impegno, duro lavoro e sacrificio; ma non puoi immaginare con che soddisfazione ne sarai ripagata. Gareggia sempre prima con te stessa, non c'è avversario più difficile da battere, superare te stessa sarà la più dolce delle vittorie da ripetersi ogni giorno; solo allora ti accorgerai che non sarà difficile battere gli altri.

Fai cose pericolose, non aver troppa paura delle conseguenze, ma non farlo troppo a lungo o finirai con l'avere conseguenze spiacevoli e irreversibili. Impara ad accettare il destino per come si presenta, ma non essere fatalista; c'è sempre l'occasione per cambiare le cose, devi soltanto saperla vedere e coglierla. Esagerare è l'unico modo che hai per scoprire i tuoi limiti, quindi sii pronta ad essere completamente impreparata, del resto non c'è altro modo per trovare sé stessi.

Sii gentile con tutti, soprattutto con chi ti disprezza, ancora di più con chi ti umilia; non c'è motivo per consumare energie ad odiare qualcuno che potresti semplicemente ignorare. Sii pronta ad essere maltrattata e derisa, ma sappi che proprio da queste esperienze verrà la tua forza.

Fa' che la tua grandezza non si manifesti a discapito degli altri. Non c'è successo nella vita che valga la sofferenza altrui. Combatti per i tuoi obiettivi, ma fai in modo che non tradiscano mai il tuo ideale, e se non hai idea di come dovrebbe essere un mondo perfetto, rifletti profondamente perché stai andando in una direzione pericolosa.

Ama senza limiti, ama chiunque e in qualunque maniera, più amore saprai donare più sarai in grado di riceverne. Lascia che la passione ti travolga e stai pronta a soffrire tanto quanto sarai felicemente inebriata dal dolce calore dell'amore. Non c'è vita che sia degna di essere definita tale se non siamo stati in grado di lasciarci andare almeno ad un amore incondizionato, sovente neppure ricambiato, talvolta usato in maniera egoistica da qualcun altro; ma non importa, non ci si può difendere non amando perché essere indifferenti all'amore e ancor peggio che soffrirne la perdita. Non aver paura di amare, non aver paura di vivere.

Cara la mia Sara, sii felice, non di quella felicità da copertina patinata che s'ispira all'avere tutto ciò che viene venduto, essere felici è avere già abbastanza e non volere altro. Cerca intorno a te ciò che ti dona serenità e cerca di conservarlo, perché le buone emozioni non si acquisiscono ne tanto meno si comprano; si donano. Se sarai in grado di dispensare sorrisi e serenità senza chiedere nulla sarai felice, come lo sono io ora mentre ti scrivo, incapace di pensare a qualcosa di diverso da quello che ho, incapace di pensare che si possa desiderare altro.

La felicità è timida e ha bisogno di supporto. Non arrenderti davanti alle difficoltà, perché qualunque sia il prezzo, se vorrai pagarlo, non ci sarà che un modo per essere felice. Rifletti a lungo sulle tue scelte e poi falle di getto, ama la vita ama l'impossibilità di governarla, segui l'onda e sii sempre pronta al cambiamento. Abbi paura di tutto, ma sii pronta ad affrontare qualsiasi sfida che la vita ti porrà, senza il coraggio di agire non si può dare il giusto valore alla vita.

Conosci te stessa, se questa frase l'hanno scritta un po' di filosofi dalla Grecia alla Cina, probabilmente è importante tenerla a mente, ma soprattutto non dare troppa retta a me che "so di non sapere". Sappi soltanto che, in qualsiasi momento della tua vita, in qualsiasi pasticcio tu possa essere finita, c'è qualcuno al mondo che fa il tifo per te.

venerdì 30 gennaio 2015

Travolti da un insolito destino

... e da una classe politica priva d'intelligenza.

Mi stupisco, a dire la verità sempre meno, di come si possa fare un qualsiasi lavoro senza averne le competenze.

Mi stupisco quando in cantiere incontro un muratore dal cervello fino, capace di trovare soluzioni ai problemi, capace di fare un lavoro curato nei dettagli per il precipuo scopo di ottenere un buon risultato.

Mi stupisco quando incontro persone colte, che hanno conoscenza enciclopedica, ma soprattutto che sanno cosa farsene mettendo in relazione fatti e azioni, permettendoci di comprenderne il significato.

Poi torno al quotidiano

e non mi stupisco più delle idiozie che sento nelle infinite tribune elettorali televisive che ormai hanno sostituito, in ogni senso, i programmi di varietà e di colore.

Non mi stupisco dell'ignoranza dilagante dovuta al definitivo abbandono del risultato obbligatorio nella formazione scolastica, surrogato dalla semplice presenza in aula.

Non mi stupisco più delle difficoltà nell'uso del computer per la stragrande maggioranza della popolazione adulta, eppure dopo oltre trent'anni dalla diffusione dei personal computer dovremmo aver vagamente capito come si usano.

Ma riesco ancora a stupirmi dell'ignoranza della gente.

Mi stupisco del sempre crescente numero di persone, qui è certamente colpa della democrazia ateniese e in qualche modo anche di Karl Marx, che si sente autorevolmente convocata a dire qualsiasi cosa pur senza farsi venire il minimo dubbio circa l'eventualità di imparare prima a parlare.

Persone che esprimono concetti personali e che non si sentono in dovere di provare a renderli comprensibili, persone che hanno quantità indefinibili di risposte a domande che non sono in grado di porsi, quando io da semplice uomo comune oppure semplice uomo con senso critico e desiderio di conoscenza, ho una miriade di domande senza riposta.

Mi stupiscono tutti questi elettori, tutte queste importanti componenti della nostra comunità che investiti del potere di decidere per il proprio interesse, lo confondono con il potere arbitrario di comandare interi eserciti e indirizzarli contro chiunque dissenta dalla loro arbitraria opinione.

Eppure non si stupiscono, forse perché non si pongono domande, magari perché hanno tutte le risposte che servono loro per sapere d'essere nel giusto; il giusto percorso per morire felicemente ignari.