giovedì 19 giugno 2014

La corruzione e felicità della competizione

La corruzione è certamente felicità, altrimenti non se ne capirebbe l'utilità.

Felicità indirette, poiché non penso che la violazione cosciente le norme giuridiche e sociali possa, salvo rari casi di soggetti antisociali, procurare da sola uno stato di euforia e benessere.
La felicità è data quindi dall'anticipazione del benessere che deriverà dal godere dei frutti della corruzione. Con i soldi in contanti che verranno corrisposti oppure gli utili indebitamente racimolati, daranno agi e benessere in quantità superiori alla competizione onesta e rispettosa delle regole.

La competizione

E' il motore delle attività umane, non è in genere tanto importante raggiungere il proprio obiettivo, quanto superare gli altri. E' fondamentale, nel contesto sociale essere i primi, i migliori, non già avere a sufficienza o migliorare continuamente sé stessi.

Il miglioramento continuo non è interessante, che gusto c'è a pensare che la felicità è nella competizione e non nel risultato? Perchè mi risuonano in mente le placide parole del Barone de Coubertin?

"L'ìimportante è partecipare"

La felicità della competizione, la partecipazione quale stimolo interiore, è però un aspetto che riguarda solo quei soggetti che abbiano raggiunto una sufficiente cognizione di sé, che siano abbastanza colti, piuttosto autocritici e soprattutto che abbiano ben chiaro cosa si aspettano di raggiungere e in che maniera
Non tutti sono disposti a vivere nell'inganno pur di ottenere benefici sociali.

La maggior parte delle persone neppure riesce a soddisfare sé stessa e passa la vita a rincorrere obiettivi esterni in genere posti da qualcuno che ha interesse che vengano, non raggiunti, bensì inseguiti.

E così la felicità diventa non già il piacere della competizione, bensì il raggiungimento di un traguardo che si sposta sempre, fino a sublimare in una vita oltre la vita, in qualcosa di intangibile e sperato che certifica l'assenza della felicità terrena, lasciando disperatamente alla ricerca di qualcosa che possa surrogarla nell'immediato.

La corruzione è la resa

Un timido tentativo di vincere prima dell'arrivo, un modo per anticipare il premio che però non considera le sanzioni, morali e giuridiche, della scorciatoia.
La vera felicità è nella competizione, nel piacere della competizione franca che nutre lo spirito dell'atleta, nell'onestà di sapersi campione non già per aver superato gli altri, ma per non aver tradito sé stesso.

La felicità non si compra, si costruisce con il sudore e l'onestà.

martedì 10 giugno 2014

Camminare

è sinonimo di numerosi concetti, di idee e di azioni.

In questo momento camminare non può che farmi pensare alle montagne italiche su cui occasionalmente poggio rispettosamente le suole degli scarponi, quei luoghi ameni e inospitali, sebbene resi più gradevoli dal passaggio dell'uomo nel corso dei millenni e rese troppo gradevoli dalle infrastrutture dell'ultimo secolo.

La conquista positiva della natura ha allettatto a lungo le società, l'esplorazione del mondo ha occupato l'immaginario collettivo e quando si è pensato che non ci sarebbe stato più nulla da scoprire su questa terra ci si è rivolti allo spazio

Soltanto di recente il genere umano a trovato interessante esplorare sé stesso.

E' certamente non ne ha conosciuto ancora a sufficienza. La cultura delle masse ha posto l'accento su quell'atomistica parte che ne è l'individuo. Eppure dalla notte dei tempi indomiti pensatori hanno scandagliato, ognuno con il proprio bagaglio culturale, la psiche umana e tentato di elaborare teorie.
Che la filosofia si sia manifestata poi in religioni e scuole di pensiero è storia, come i conflitti che ne sono generati, ma tutte avevano un comune denominatore

Il cammino quale metafora di vita

Simbolo universalmente condiviso dello scorrere del tempo, della caducità della vita, della precarietà delle nostre convinzioni. Il cammino è un percorso mutevole, un panorama sempre diverso, è qualcosa su cui non poter fare affidamento o basare le proprie certezze, quelle stesse certezze fondamentali al nostro cammino.

E così camminare diventa un'azione priva di significato, poiché pensiamo che la nostra vita sia statica che sia un monolite di roccia, quello stesso monolite che pesantemente trasciniamo con noi e che più diventa grande gravato dalle nostre certezze, più difficile diventa il nostro cammino

Non si può camminare con un fardello troppo grande

Si soccombe e ci si ferma. Si resta a guardare lo scorrere dello spazio-tempo aggrappati a quella pietra che non sappiamo lasciare, a costruire un mondo di certezze cognitive sempre più rigido, ad alimentare questo monolite con eoni di staticità.

Eppure la vita è un cammino affascinante, che soltanto chi sa abbandonarne i gravami può vivere appieno.
Citando il maestro Lao, posso dire che «dall'essere viene il possesso, dal non-essere l'utilità» così negli oggetti, così nella vita.

mercoledì 4 giugno 2014

Biologia della sintesi

la modernità, in sintesi.

Non possiamo identificare l'origine del nostro essere, in quanto troppo impegnati a sintetizzare, a riassumere a comprimere l'essenza per scoprire da dove veniamo e chi siamo, ammesso che possa ancora avere un senso porsi questo domande in un mondo non più positivista, in un'epoca di dubbi e surrealismo.
Viviamo in un mondo in cui i prodotti di sintesi sono ovunque e ci sembra normale vivere dei risultati della ricerca industriale novecentesca, la cui tecnologia ha permesso di realizzare in laboratorio prodotti ben più efficaci di quelli ottenuti dalla natura.

Non ci sono più soltanto prodotti, oggi abbiamo anche esseri sintetici.

La sintesi industriale ha trovato il proprio apice al termine del secolo breve con la genetica. Se dapprima si ricreavano oggetti, ingredienti, semplici elementi, ad un tratto si è iniziato a replicare esseri viventi.
La manipolazione genetica ha permesso di sintetizzare forme di vita mai viste prima, di rendere i pomodori più succosi e il grano più resistente, di replicare pecore e manipolare cellule staminali per fornire pezzi di ricambio in serie per esseri umani.

Abbiamo sintetizzato la vita.

Senza che neppure il Dr. Frankenstein se ne accorgesse, siamo andati ben oltre l'ideale romantico di quel personaggio letterario creato, sintetizzato forse, dalla penna della visionaria Lady Shelley. Ed è proprio attraverso quell'onirica rappresentazione della rinascita che possiamo immaginare come la sintesi arrivi alla comunicazione.

Nell'epoca della sintesi estrema, incontriamo l'estrema sintesi.

Oggi leggiamo estratti di notizie, sintesi di sintesi, sintesi al quadrato di informazioni irriconoscibili, dove non si esprime più l'oggetto, ma se ne richiama un aspetto non più lungo spesso di centoquarante caratteri. Un'informazione stroboscopica e abbagliante che non mostra che parti, momenti, frazioni e ci rende ciechi seppur vedenti.

La chimica pervade la conoscenza, diventa più semplice sapere che conoscere.

Se davvero oggi, nella frenesia sociale che comprime le nostre vite in pillole informative acritiche, è sufficiente credere di conoscere per sapere; se davvero oggi non è necessario imparare, a cosa serve il pensiero umano?
Forse la Sintesi è una nuova forma di vita, una specie post-umana la cui genesi è ormai avvenuta e che deciderà presto del destino della nostra specie, come noi abbiamo manipolato quello d'altre.