domenica 29 settembre 2013

La vacuità della società

Perché è ciò che la società italiana è:

Vuota!

Non c'è nulla più che l'istinto di autoconservazione di una classe dirigente che non ha neppure più la necessità di condurre il paese.
Non è rimasto altro che la conservazione di privilegi.
Non riescono a mettere in discussione neppure lo 0,5% di un bilancio mostruosamente elevato per evitare di alzare ulteriormente la tassazione.

Chi lavora paga. Chi non lavora gode. Chi evade sopravvive.

Non c'è alcun senso civico
Non c'è alcun vantaggio sociale
Non c'è più una cultura
Non esiste più una società civile

La gente ama credere che la colpa sia proprio della classe dirigente, in quanto tale.
Ma la colpa è purtroppo sempre di chi la legittima, di chi passivamente ne accetta le decisioni.
Berlusconi (come potrebbe esserlo qualunque altro leader politico) è il capro espiatorio perfetto, il messia farlocco che ha tradito le promesse insensate a cui tutti avevano voluto credere.

Questo paese è giunto al capolinea e non resta altro da fare che frammentarlo, demolirne le istituzioni e lasciare che si ricostruisca su schemi locali ben ancorati ai piccoli interessi che guidano la classe dirigente.

«La parola Italia è una espressione geografica, una qualificazione che riguarda la lingua, ma che non ha il valore politico che gli sforzi degli ideologi rivoluzionari tendono ad imprimerle.» (Barone Von Metternich, a.D. 1847)

domenica 22 settembre 2013

L'Educazione e il Rispetto


Difficile darne una definizione univoca.

Ciò che per noi rappresenta normalmente l'educazione non è altro che l'aspettativa del comportamento altrui in relazione all'idea che abbiamo del nostro rapporto in relazione alla società.


L'Educazione si definisce con la normalità, con la norma dei comportamenti sociali. Ma se siamo abituati a considerarci esseri unici e particolari, difficilmente potremo pensare di essere normali.

Perchè io valgo, citando una nota pubblicità.


Ma quanto valgo? Ho un valore commerciale come target pubblicitario, un valore assicurativo, un valore nel mondo del lavoro.

Ma ho un valore nel mondo sociale che non sia collegato allo sfruttamento in scala delle mie potenzialità commerciali?



La risposta è apparentemente NO.
La società organica industriale si è disgregata.

E con essa si è disintegrato il rispetto.

Se mancano i vincoli di coesione sociale, manca anche lo stimolo a mantenere l'equilibrio. Quando il prossimo si muove verso noi soltanto pagandolo, non c'è più bisogno di rispettarlo, ma avere denaro a sufficienza per comprare i suoi servigi.

I risvolti sociali di questa situazione sono imbarazzanti.

Non è chiaramente possibile che esista una società in cui tutti sono unici e hanno potere economico a sufficienza per indurre gli altri a servirli.
Questo comportamento, che esiste dalla notte dei tempi, è sempre stato riservato ad una élite possidente, mentre i più si rivolgevano ad altri simili con sistemi meno elaborati tecnicamente ma direi più evoluti in forma sociale.

A che serve il denaro se hai tutto ciò che ti serve?


Il denaro era il mezzo per ottenere il necessario al sostentamento, per certe categorie era perfino superfluo, potendo provvedere a certe particolari necessità tramite lo scambio di beni.
Il denaro non ha più valore intermedio, è un valore dì per sé stesso. Sovente lo si accumula senza poterlo o volerlo destinare ad altro che all'incremento matematico del totalizzatore.
Esistono poveri che hanno ingenti somme di denaro con cui dovrebbero garantirsi il rispetto, ma che non intendono spenderlo.

Il miraggio della rivoluzione capitalistica cinquecentesca è stato proprio quello, pensare che il denaro potesse trasformarsi da mezzo a fine.

E alla fine, infine, siamo arrivati.

martedì 10 settembre 2013

Come siamo stati educati?

...se lo siamo stati.

E' chiaro che ogni generazione trovi maleducate quelle seguenti e abbiamo anche un'idea del perchè.
I valori sociali mutano progressivamente con l'evoluzione.
Recentemente ho letto un illuminante testo di Alessandro Baricco in cui palesava una teoria in cui la fine del romanticismo sia ciò che realmente crea un solco generazionale.

Effettivamente i valori tradizionali di quanti siano cresciuti ed educati nel ventesimo secolo sono indubbiamente ispirati all'ideale romantico di derivazione ottocentesca.
I ragazzi di oggi, quelli del ventunesimo secolo, invece del romanticismo non ne portano alcun segno.
La cultura del nuovo millennio affonda le radici in una rivoluzione culturale che non è ancora arrivata. La perdita di valori tradizionali, senza l'affermazione di nuovi valori, ha dato vita a questo importante periodo di transizione socio-culturale.
Inutile cercare di riportare tutto al nostro senso di giustizia. C'è chi non lo condivide e anzi lo considera ingiusto.Visualizza blog

Ma cosa può aver creato un divario così netto? Sembra che nel giro di un decennio o due, i giovani si siano trasformati radicalmente. Com'è possibile?

Cosa è cambiato nella società come non è avvenuto per secoli?
E' arrivata la rivoluzione digitale, che non è come si pensa soltanto tecnologica. L'era informatica, dall'acronimo francese "informatique" che sta a significare informazione+automatica, ha ristrutturato i rapporti sociali.

Non ci sono più uomini che si rapportano agli uomini.

Oggi ci sono uomini che si rapportano alle macchine, proprio come succede a noi due in questo momento, il lettore e lo scrittore, uniti da un computer in luogo di un libro o di un rapporto fisico.

Così ci sono arrivato.

Ciò che distingue gli uomini di oggi da quelli del decennio o del millennio scorso, è un semplice pronome.
Per sapere dell'origine culturale di quelli come me, la domanda è:
"Chi mi ha educato?".
Ma per conoscere le origini dei nuovi venuti, non possiamo più porci lo stesso interrogativo, non più.
Per loro la domanda è nuova, evolutiva e per certi versi spaventosa.
La domanda per loro è:

Cosa vi ha educati?

giovedì 5 settembre 2013

Dio è morto.


Il tempo è dalla partedi Dio, ora lo sa anche Nietzsche.

Fermate il progresso

Non c'è nulla di utile nel progresso.

Lo ammetto, va bene, è una dichiarazione esagerata.

Ma come spiegare con parole semplici ciò che sarebbe semplice da capire se semplicemente guardassimo con occhi semplici il mondo che ci circonda?

Ogni vittoria ha un prezzo, la sconfitta altrui. Per una comunità che cresce, c'è una comunità che decresce. Il conflitto è alla base dei rapporti umani e pertanto dell'economia quale scienza sociale.
Se per avere un progresso sociale, economico, tecnologico dobbiamo creare un conflitto, allora siamo ad un punto morto.
Curiamo l'interesse o l'etica?

C'è un qualche possibile fine etico nell'Economia? Apparentemente no.
Per la mia tesi di laurea mi ero riproposto di analizzare la questione, ma mi rendo conto che non sarebbe producente, non avrei un vantaggio economico/sociale e ho lasciato perdere.
Anni fa pensai che fosse, nella vita, necessario produrre un certo volume d'affari, che fosse il necessario per vivere. Poi mi scontrai con la necessità di farlo a discapito del benessere altrui e vacillai.
Persi il filo del discorso e devo dire che studiare materie sociali, nonché tanto diritto, mi ha ricordato che in fondo non esiste una morale.

La morale è un lascito intellettuale di quei movimenti, per ultimo considero quello illuminista del XVIII secolo, che hanno il pregio di aggregare persone generalmente dimenticate dalla società, ma hanno il difetto di non fornire loro alcuna informazione circa l'uso di questa eredità.

Le persone dimenticano ciò che conoscono, ma non possono ricordare ciò che ignorano.

E così, in questa altalena di vizi e virtù, il cui valore etico è determinato esclusivamente dal punto di vista, vaghiamo alla ricerca di "Madame Giustizia" [cit.] senza far altro che affogare nel nostro concetto di morale.
Fermate l'etica, per un po'. Sospendete ogni legge, cancelliamo ogni morale e armiamoci fino ai denti. Apriamo i cancelli al Destino e vediamo chi resta in piedi.
Sarà il trionfo dell'economia e, tenendo conto della natura umana, un momento di vero e ineluttabile progresso sociale.