lunedì 23 dicembre 2013

And so this is Christmas


...war is over.



Magari.

Quanti auguri dobbiamo ancora fare prima che venga il momento di darci da fare?

mercoledì 11 dicembre 2013

I falsi miti del Belpaese

Da tutta la vita sentiamo dire che l'Italia è il paese degli inventori, Galileo e Leonardo sopra a tutti.

L'Italia non è il paese dei filosofi.

Ci deve pur essere un motivo se negli ultimi 300 anni non si sia praticamente fatto nulla per valorizzare la cultura italica.
Se nel rinascimento lo sviluppo dello Stivale era al massimo livello mondiale, se le repubbliche marinare commerciavano con tutto il mondo, se la Chiesa di Roma deteneva il controllo politico-finanziario indiretto sul mondo intero, il seicento vide la crescita delle culture nord-europee

Tra il '600 e il '700 persone come Spinoza, Hobbes, Kant, Voltaire, spinsero l'acceleratore intellettuale dando il via alla rivoluzione illuminista che avrebbe poi determinato la cultura mondiale fino al XX secolo, che non vide peraltro una ripresa del pensiero italico, bensì dell'ultilitarismo americano correlato alla crescita della potenza d'oltreoceano, gli Stati uniti d'america.

E l'Italia, o meglio quella "espressione geografica" come ben la definì Otto von Bismarck, si rifugiò nella sua arretratezza culturale, nell'essere provincia dell'Impero austriaco per una parte, del Regno di Spagna per un'altra, nell'appartenere ai Savoia, principi di discendenza francese, dall'altra.

L'unificazione nazionale, non fu un moto di unità popolare, ma la convergenza di interessi politici e di conquista. La liberazione dagli invasori, per molte popolazioni, non fu altro che un cambiamento di governante.
La teoria repubblicana di Mazzini e compagni si scontrò con gli interessi politici e i Garibialdini furono il mezzo per l'affermazione dei poteri esistenti, seppure sotto un nuovo nome.
Tommasi da Lampedusa nel Gattopardo, un secolo dopo lo sbarco di Marsala, fece dire ad un personaggio "bisogna che tutto cambi perché tutto resti com'è". Mai migliore analisi dell'Italia fu scritta in tutta la sua storia.

Lo Statuto albertino del 1848, aveva placato gli animi, ma neppure assomigliava a quelle carte costituzionali che in Inghilterra esistevano dal 1689, in America dal 1789 e in Francia dal 1791.
Il Regno sabaudo non era nulla di così evoluto, non come noi italiani studiamo oggi, dopo che quella dinastia ha soggiogato la penisola e i suoi sudditi hanno fatto la democrazia.

La democrazia in Italia.

Ispirata anche quella da qualcuno non italiano, immaginata sull'ideale marxista-stalinista e neppure realizzata, poiché la guerra civile che doveva servire ad affermare l'ideale democratico fu la guerra di pochi per scacciare gli ex-alleati rinnegati.
La democrazia alla fine ce la portarono gli americani, con il loro cliché fatto di coca-cola, blue jeans e rock 'n' roll. E anche in questo caso la popolazione ne rimase perlopiù inconsapevole, godendo i benefici di questo nuovo sistema economico, sguazzando in comportamenti liberali etichettati come democratici.

La Costituzione

Adottammo una Costituzione di compromesso, liberal-democratica. Copiammo malamente quella francese mantenendo i privilegi di alcune classi sociali, garantendo sbocchi politici e istituzionali ai partiti, salvaguardando istituzioni religiose e private, tutelando espressamente gli interessi locali.

Fu redatta una costituzione senza nominare gli "italiani" o il "popolo italiano", del resto nella costituzione francese non si parlava di italiani.

A partire dal 1946, come dal 1861, nessuno si preoccupò di creare una coesione nazionale; essere italiani era un palese richiamo al fascismo, unico vero moto nazionalista nella storia del paese.
Restammo tutti cittadini regionali, almeno fino al nuovo secolo, quando grazie all'Euro ci scoprimmo improvvisamente cittadini d'Europa.
La grande occasione per essere più che Italiani, divenne invece un pretesto per riscoprire l'Italia del 1861, di quella guerra di unificazione fatta con mercenari e coscritti delle campagne, da volontari ignari delle lotte di potere e che generazioni di italiani neppure avevano e avrebbero voluto.

E il proverbiale ingegno italico?

Si espresse nelle arti pratiche, nel design di metà novecento, nella moda, nell'industrializzazione di quel paese ancora così arretrato rispetto a quelle potenze che avevano abbracciato, sostenuto e sviluppato idee innovative.
L'Olanda, da piccola colonia imperiale a potenza leader mondiale in meno di due secoli, costruita sulla capacità di lavorare e con l'idea di realizzare, costruire. Nella cultura mercantile olandese, trovarono posto e ospitalità persone come l'ebreo Spinoza e il polemico Descartes; più o meno nello stesso periodo in Italia Galileo rischiava la morte, mentre Newton in Inghilterra cambiava il corso della storia della scienza.
L'ingegno italico è un falso mito che copre la cronica carenza di istruzione.
L'idea che le università italiane siano di alto livello è un retaggio ottocentesco, quando era probabile che fosse vero, ma dovremmo renderci conto che il mondo cambia e che non è sufficiente desiderare qualcosa perché si avveri.

La cultura dell'ignoranza

E' ciò che rappresenta l'Italia e gli italiani, cercare di adattare il mondo alle propria immagine, rifiutarsi di guardare oltre per non doversi sentire inferiori, piuttosto (usato qui correttamente) che guardare all'esterno per motivarsi nel miglioramento.
L'Italia aveva, vent'anni fa, la possibilità di svoltare e seguire per una volta esempi virtuosi, ma non è stato fatto.
Ora che perfino la Chiesa di Roma scende dal pulpito e si rimbocca le maniche per migliorare e crescere, la classe dirigente di questo paese non è neppure più in grado di rendersi conto che sta frazionando e svendendo quel che resta di quasi due secoli di tentativi di unione.

Ed io riesco soltanto a pensare alla Giovine Italia mazziniana, a quella creatura tanto amata che alla fine è morta vergine.

martedì 26 novembre 2013

La distribuzione della ricchezza


Non è una scienza perfetta, ma semplicemente il risultato di secoli di selezione naturale.




Per cui, se non siete parte di quel 1%, potete solo lavorare per diventarlo. Oppure potete semplicemente fare a meno della ricchezza.

lunedì 25 novembre 2013

La falsa democrazia


Quella che si è affermata nel novecento non è democrazia.


Lo erano le intenzioni delle masse popolari che si sono sollevate, ma di certo non lo è stato nei risultati.
Se l'ideale democratico marxista era già stato "sconfitto" in Russia negli anni quaranta, nel corso della guerra fredda morirono le idee democratiche occidentali.
Negli USA gli assassini politici di Martin Luther King e Robert Kennedy sopirono gli ideali pacifisti e aprirono ad un nuovo periodo colonialista, mentre nel nostro paese l'arrivo del messaggio pacifista coincise con una strumentalizzazione politica che portò ad un crescendo anarchico che mirava di fatto a strumentalizzare masse quasi inconsapevoli.

Il concetto democratico italiano si è incarnato nella rivendicazione di interessi più o meno diffusi.
Ci sono classi e categorie che sostengono di incarnare l'interesse collettivo, quello stesso interesse che cambia forma con le circostanze.
C'è una Costituzione democratica che viene consapevolmente disattesa e ignorata a piacimento.
Non c'è rispetto della collettività ad alcun livello sociale.

Dov'è la nazione?

Non c'è nazione se non c'è una collettività di persone unite da una cultura, una lingua, un ideale, un interesse comune che nel corso del novecento, nei paesi realmente democratici, ha coinciso con il benessere.

Chi parla di benessere oggi in Italia?

Nessuno, se non quando parla dei propri interessi, mentre fa rivendicazioni economiche, mentre rivendica privilegi personali.

Chi è portavoce della collettività?

Nessuno, perché la collettività non esiste più, o non è mai esistita, visto che ancora oggi si fatica a trovare un punto di unione culturale che non sia la lingua italiana, peraltro di recente diffusione territoriale, anche se in molte zone del paese la lingua madre è ancora il dialetto.


Dov'è la nazione italiana che tanto sta a cuore a chi odia gli stranieri? E dov'è il rispetto dovuto agli altri, la rinuncia consapevole di parte della propria libertà a beneficio dei nostri concittadini?

Se non c'è alcuna intenzione di rinunciare per il bene altrui, allora non ci sarà alcuna nazione,ma soltanto una guerra di tribù che desiderano il predominio delle risorse di un dato territorio.


Se l'Italia è davvero questo, forse è meglio che sparisca senza lasciare traccia.

lunedì 18 novembre 2013

Hobbes aveva ragione

L'uomo è cattivo e se non vuole vivere in guerra ha bisogno di qualcuno che lo governi e a cui "regalare" la propria libertà.
Inutile leggere Freud, e il suo "Disagio della civiltà" , riflettere e pensare che l'uomo sia cattivo per colpa delle costrizioni sociali e delle privazioni.

Nei secoli miliardi di esseri umani hanno avuto la possibilità di cambiare il corso del destino e non lo hanno fatto.
La storia è scritta da risolutori di conflitti, non c'è alcun generatore di coesione che venga considerato utile, se non importante.
Il Nobel si dà "per la pace", ma spesso viene dato a chi ha posto fine a conflitti, a volte a chi per questo si è servito della guerra.

Le democrazie nascono per la necessità di controllare i conflitti sociali, per concedere maggiore dignità a chi si sentiva sottomesso, per dare voce a chi non ne aveva.
Non esiste una democrazia concessa dall'alto, ogni allargamento del potere, per quanto fittizio, deriva da conquiste venute dal basso.

Non ci sono uomini magnanimi, solo persone interessate che si contrappongono, qualche volta per generare equilibri instabili che appaiono per qualche decennio di una solidità fittizia.

La Democrazia ha fallito. Ha avuto il suo imperio demagogico, dall'oligarchia originale è stata ampliata, fino ad abbracciare l'anelato suffragio universale, fino ad arrivare alla massima estensione possibile.

La democrazia contemporanea coinvolge tutti.

L'apice democratico è forse stato raggiunto nel 1917, con la rivoluzione di ottobre, ma forse neppure, visto che dietro all'ideale comunitario si celava una lotta di classe, per cui una contrapposizione di interessi.
Non erano i proletari a volere il bene comune, soltanto una redistribuzione di ricchezza che desse loro maggiori vantaggi.

"Ma allora la democrazia è un compromesso di interessi?"
"Certo! Cosa credevi che fosse?"

Il potere del popolo non è che un'estenuante lite per il privilegio in cui di fatto nessuno può vincere, bensì resta da definire a cosa rinunciare in cambio.

Ma questo aspetto della democrazia è stato taciuto.
Chi voterebbe un leader politico che incita a dare qualcosa in cambio per l'interesse collettivo?
L'ultimo che ci ha provato con autorità è stato fucilato (ucciso a fucilate in pubblico) il 22 novembre del 1963.

Quella è stata la svolta anti-democratica.
Le lotte di classe, le rivendicazioni del 1968 sono state solo la radicalizzazione di idee che meno di cinquant'anni dopo sarebbero morte con l'ascesa sulla scena mondiale di paesi non democratici.

L'Europa muore con la propria democrazia.

La democrazia, con le sue infinite richieste di benessere è morta. Il sistema occidentale in cui si pretende il futile e si arriva addirittura a pretendere di non morire, non ha futuro.
La conservazione infinita di uno status quo fatto di privilegi e pretese ucciderà questa cultura e la condannerà ad essere assorbita da culture più dinamiche e vincenti.
I cambiamenti del futuro porteranno per i più agonia e sottomissione, rinuncia e fame.
Non resterebbe che tentare la via della democrazia del dare, quella ideologicamente fondante per le religioni monoteiste, quella che stranamente ritorna in auge dove la gente non ha (ancora) richieste precise da fare.

Solo chi è disposto a perdere tutto potrà trovare qualcosa di nuovo.

Dal canto mio neppure la vita è più importante della felicità donata dall'amore per la conoscenza.
Non si può imparare se già si sa.
Per cui è meglio essere ignoranti e spogliarsi di tutto, nutrire la propria curiosità, incoraggiarne la voracità e non cercare di capire ciò che non ha senso.

La vita non ha significato, ha solo bisogno di essere vissuta, goduta, amata.

giovedì 7 novembre 2013

Carl Gustav Jung


L'incontro con sé stessi è una delle esperienze più sgradevoli, alla quale si sfugge proiettando tutto ciò che è negativo sul mondo circostante.


Chi è in condizione di vedere la propria ombra e di sopportarne la conoscenza, ha già assolto una piccola parte del compito.


[C.G.Jung]

mercoledì 6 novembre 2013

Opportunità

Cos'è un'opportunità?

Una volta avrei saputo rispondere, avrei detto che è l'occasione di fare qualcosa di concreto, produttivo, innovativo.


Oggi non so rispondere.

Da troppo tempo, nella cultura in cui vivo, il termine opportunità è diventato sinonimo di elusione, di stranezza, di contestazione, di mancata accettazione.


E così mi ritrovo "rimbalzato" da un mondo pigro, in cui non riesco a concretizzare un sistema per ottimizzare la sicurezza sul lavoro (invenzione del 2008 in anteprima europea se non mondiale che non trova finanziatori)
non riesco neppure a brevettare un congegno per mezzi di locomozione (perché non si capisce quale sia la procedura corretta) non riesco neppure a far partire una start-up se non buttandomi nel vuoto (da solo) in un mercato che non conosco.

Ci si scontra con l'insicurezza, la pigrizia, il disinteresse generale. Spesso, incontrando persone per lavoro rimango perplesso dal rapporto che hanno con l'attività che, al pari del sonno, occupa la maggior parte delle loro vite.

Cosa vi alzate a fare la mattina?

Questa è la domanda che vorrei fare a quanti vivono pigramente una situazione di sofferenza senza fare alcunché per cambiare la situazione. E' possibile restare incastrati in una vita che si odia e non riuscire ad intravedere alcuna opportunità di cambiamento?
E' possibile che questo riguardi milioni di persone riunite nello stesso ambito e nessuno se ne accorga?

Non ci sono opportunità

Così scrivo, faccio un bel curriculum di intenzioni senza riscontro e faccio la valigia.

Ci sarà ancora nel mondo un posto dove opportunità significa qualcosa e ho intenzione di trovarlo.

lunedì 4 novembre 2013

Il Tempo

prima pubblicazione 9 marzo 2006

Sul muro di una stazione ferroviaria della mia città campeggia un'enorme scritta a bomboletta:

"Il tempo non esiste, gli orologi sì"

leggo questa frase quasi ogni giorno, e ogni volta la trovo così vera da non riuscire ad ignorarla.
Il tempo non esiste, o meglio non è tangibile. Eppure la nostra vita è condizionata principalmente da quest'elemento inconsistente.

Tutto ciò che ci accade è collocato nel tempo, il nostro modo di vivere è condizionato dal trascorrere del tempo.

Ogni essere vivente ruota con la terra e regola la propria esistenza con l'apparizione del sole.
Al mondo nulla gli sfugge e non c'è modo di eluderlo, cancellarne un tratto, replicarne un altro.

L'unico modo per fermarlo e renderlo inoffensivo lo ha trovato il Sommo Einstein; basta raggiungere la velocità della luce.

Ma come si fa a viaggiare così velocemente?

Il pensiero viaggia oltre la velocità della luce.


Ergo, il pensiero può fermare il tempo.

Ed è così che la vita ci si presenta.

Nella nostra mente il tempo si ferma e riparte a nostro piacimento.

Il dolore, le gioie, le persone che abbiamo amato tornano ad essere presenti e vividi.

Il ricordo e l'immaginazione sono gli strumenti per "combattere" il tempo. Mentre la vita va avanti secondo le sue regole, possiamo prenderci un attimo di "sempre", magari da condividere con qualcuno a noi caro, per ricordare qualcun altro che ancora ci è caro o per immaginare qualcosa di piacevole.
Scrivete gente, scriviamo tutti, anche se non diverremo mai artisti possiamo fermare il tempo e regalarci così un frammento di eternità.

Con il pensiero raggiungiamo l'immortalità.



domenica 13 ottobre 2013

La controcolonizzazione


Perchè di fatto questo è.
Dal secondo dopoguerra l'Europa ha iniziato a scontare gli effetti della colonizzazione al contrario, anzi la colonizzazione reattiva.


E così i paesi in via di sviluppo esondano in quelli in recessione.


Quest'opportunità è stata colta e regolamentata ampiamente negli scorsi decenni. La Germania ha avuto la sua invasione turca e centrafricana, la Francia quella nordafricana, la Spagna e il Portogallo hanno avuto il loro sudamericani, il Regno Unito quella multietnica dell'Impero più grande del mondo.

E l'Italia? Il colonialismo imperialista del Bel paese fu drammatico ed ebbe scarso effetto.


Così, per una sorta di legge del contrappasso, non avendo goduto allora dei benefici delle colonie, ci tocca oggi godere appieno degli effetti della "reazione colonialista" dei paesi sub-emergenti, il nuovo quarto mondo dopo che il terzo è diventato secondo e qualcosa di più.

Insomma, ci sono popolazioni stritolate tra Tigri e muri di mattoni (BRICS) che non hanno altra risorsa se non incanalarsi ordinatamente verso l'unica porta ancora aperta per l'Europa, anzi verso l'unico varco d'accesso incustodito per la Eldorado del ventunesimo secolo.

Parallelamente l'Estremo oriente vive una crescita inimmaginabile, ha posto per tutti, risorse apparentemente inesauribili, ma è troppo lontano, ancora di più dell'America di fine ottocento. Quel sogno, il sogno di rifarsi una vita nel nuovo continente, stava ad una crociera di distanza, sicuramente molto meno del cammino della morte che viene promesso ai nuovi migranti.

Questa porta aperta, un po' per la collocazione geografica dello Stivale, un po' per l'incapacità politico-gestionale dei suoi abitanti, è diventata in pochi lustri una costante economica per attività economiche d'oltremare e attività locali con interessi piuttosto lontani dalla legalità.
Così i migranti di oggi, in niente diversi di quelli d'allora, ripongono le speranze di sopravvivenza in un viaggio impossibile che li porta dove nessuno li vuole e dove, contro il volere dei locali, troveranno un modo per sopravvivere e magari vivere.

Sarebbe bastato pensarci prima, riflettere sulle esperienze dei vicini, di quelle nazioni che guardavamo districarsi con i problemi di immigrazione senza peraltro fare nulla di più che deriderle.
Beh, a distanza di un paio di decenni i problemi di immigrazione sono qui, sono sempre gli stessi e si curano sempre nella stessa maniera

Dando opportunità ai migranti.

Le stesse opportunità che vennero date agli Italiani in America, ai Turchi in Germania, agli Indù in Inghilterra.
Le stesse opportunità che non vengono date agli Italiani in Italia.


sabato 5 ottobre 2013

Piramide e civiltà




Maslow fu così "esatto" nel suggerire la via del progresso sociale, da restare misconosciuto.
Faccio quanto mi è possibile perché i posteri possano decretarne la gloria.

venerdì 4 ottobre 2013

I soldi uccidono l'arte

Siamo stati abituati a pensare che l'arte fosse sostenuta dal denaro dei benefattori.

Poi ripenso a Leonardo da Vinci, in lui vi è la migliore sintesi artistica dell'intera storia dell'umanità, qualità che peraltro lo ha portato a lavorare al soldo degli uomini più potenti del suo tempo, in ultimo il Re di Francia.
Qualcuno potrebbe dire che proprio la benevolenza e la magnanimità dei suoi finanziatori hanno permesso alla sua arte di imporsi nella sfida del tempo. Tralasciando l'interesse per i suoi progetti militari che lo portarono a Milano, Leonardo era pur sempre un ottimo pittore rinascimentale.
Immaginiamo innanzitutto il momento. In quel periodo la scoperta dell'America e la smodata crescita economica diedero vita al capitalismo e permisero la nascita della borghesia (che si sarebbe affermata in seguito). Il rinascimento artistico e culturale non fu altro che l'effetto più visibile dell'improvvisa disponibilità di oro nelle casse dei governi più ricchi, primo fra tutti quello del Regno pontificio.

Seguendo il filo logico di quello che ho scritto sopra non dovrebbero esserci dubbi circa il beneficio che il denaro porta all'arte.
Senza le risorse economiche non ci sarebbero stati i vari Leonardo, Michelangelo, Raffaello, Van Gogh, Piero Manzoni.

Beh, Van Gogh forse no. Piero Manzoni forse neppure.

Non entro nel merito artistico, sono totalmente incompetente e non è utile al discorso.
L'olandese dipinse la maggior parte dei suoi quadri negli ultimi anni di vita. Il milanese pare fosse sempre poco sobrio eppure gli viene attribuita una produzione copiosa. Il primo era cresciuto nell'ambito dei mercanti d'arte, il secondo era figlio di un'ottima famiglia e non aveva certo necessità di denaro.

L'arte di questi due soggetti, scelti da me quasi a caso tra molti altri, si esprimeva nell'assenza di ritorno commerciale.
Il guadagno lo fecero i loro eredi artistici grazie alla quantità di materiale da loro realizzato, o a loro attribuito.
Van Gogh visse al di fuori della società, Manzoni visse ben al suo interno, forse perfino troppo viste le sue abitudini mondane.
Il primo morì povero vivendo con poco denaro, il secondo morì ricco vivendo con molto denaro.
Entrambi si impegnarono a produrre arte e non denaro e non furono da meno dei predecessori rinascimentali citati sopra.

Ma cosa succede se il denaro trova il modo di influenzare l'arte?
Che succede se il prodotto diventa vendibile? Il denaro vuole volumi, produzione in serie, quantità replicabili e non pezzi unici.
Il denaro non ama l'arte, ama il denaro che l'arte garantisce.

E così arrivò l'industrializzazione, il cinema e la pop-art. Perfino la letteratura divenne popolare.
Sir Arthur Conan Doyle ne trasse giovamento più di quanto si sarebbe probabilmente aspettato.

Oggi l'arte è soggiogata alla viralità, conti soltanto se hai un seguito e sei funzionale alla popolarità che calamiti.
Ma questa non è arte, è marketing
Quando il pezzo singolo, il "masterpiece" artigianale, il prodotto figlio dell'unicità di un soggetto è stato sostituito dalla diffusione, dalla "fotocopizzazione", l'arte morì.
Abbiamo consegnato il mondo in mano ai commercianti... anzi... abbiamo, consegnato il tempio in mano ai mercanti, ma non c'è nessuno in grado di farcelo notare.

domenica 29 settembre 2013

La vacuità della società

Perché è ciò che la società italiana è:

Vuota!

Non c'è nulla più che l'istinto di autoconservazione di una classe dirigente che non ha neppure più la necessità di condurre il paese.
Non è rimasto altro che la conservazione di privilegi.
Non riescono a mettere in discussione neppure lo 0,5% di un bilancio mostruosamente elevato per evitare di alzare ulteriormente la tassazione.

Chi lavora paga. Chi non lavora gode. Chi evade sopravvive.

Non c'è alcun senso civico
Non c'è alcun vantaggio sociale
Non c'è più una cultura
Non esiste più una società civile

La gente ama credere che la colpa sia proprio della classe dirigente, in quanto tale.
Ma la colpa è purtroppo sempre di chi la legittima, di chi passivamente ne accetta le decisioni.
Berlusconi (come potrebbe esserlo qualunque altro leader politico) è il capro espiatorio perfetto, il messia farlocco che ha tradito le promesse insensate a cui tutti avevano voluto credere.

Questo paese è giunto al capolinea e non resta altro da fare che frammentarlo, demolirne le istituzioni e lasciare che si ricostruisca su schemi locali ben ancorati ai piccoli interessi che guidano la classe dirigente.

«La parola Italia è una espressione geografica, una qualificazione che riguarda la lingua, ma che non ha il valore politico che gli sforzi degli ideologi rivoluzionari tendono ad imprimerle.» (Barone Von Metternich, a.D. 1847)

domenica 22 settembre 2013

L'Educazione e il Rispetto


Difficile darne una definizione univoca.

Ciò che per noi rappresenta normalmente l'educazione non è altro che l'aspettativa del comportamento altrui in relazione all'idea che abbiamo del nostro rapporto in relazione alla società.


L'Educazione si definisce con la normalità, con la norma dei comportamenti sociali. Ma se siamo abituati a considerarci esseri unici e particolari, difficilmente potremo pensare di essere normali.

Perchè io valgo, citando una nota pubblicità.


Ma quanto valgo? Ho un valore commerciale come target pubblicitario, un valore assicurativo, un valore nel mondo del lavoro.

Ma ho un valore nel mondo sociale che non sia collegato allo sfruttamento in scala delle mie potenzialità commerciali?



La risposta è apparentemente NO.
La società organica industriale si è disgregata.

E con essa si è disintegrato il rispetto.

Se mancano i vincoli di coesione sociale, manca anche lo stimolo a mantenere l'equilibrio. Quando il prossimo si muove verso noi soltanto pagandolo, non c'è più bisogno di rispettarlo, ma avere denaro a sufficienza per comprare i suoi servigi.

I risvolti sociali di questa situazione sono imbarazzanti.

Non è chiaramente possibile che esista una società in cui tutti sono unici e hanno potere economico a sufficienza per indurre gli altri a servirli.
Questo comportamento, che esiste dalla notte dei tempi, è sempre stato riservato ad una élite possidente, mentre i più si rivolgevano ad altri simili con sistemi meno elaborati tecnicamente ma direi più evoluti in forma sociale.

A che serve il denaro se hai tutto ciò che ti serve?


Il denaro era il mezzo per ottenere il necessario al sostentamento, per certe categorie era perfino superfluo, potendo provvedere a certe particolari necessità tramite lo scambio di beni.
Il denaro non ha più valore intermedio, è un valore dì per sé stesso. Sovente lo si accumula senza poterlo o volerlo destinare ad altro che all'incremento matematico del totalizzatore.
Esistono poveri che hanno ingenti somme di denaro con cui dovrebbero garantirsi il rispetto, ma che non intendono spenderlo.

Il miraggio della rivoluzione capitalistica cinquecentesca è stato proprio quello, pensare che il denaro potesse trasformarsi da mezzo a fine.

E alla fine, infine, siamo arrivati.

martedì 10 settembre 2013

Come siamo stati educati?

...se lo siamo stati.

E' chiaro che ogni generazione trovi maleducate quelle seguenti e abbiamo anche un'idea del perchè.
I valori sociali mutano progressivamente con l'evoluzione.
Recentemente ho letto un illuminante testo di Alessandro Baricco in cui palesava una teoria in cui la fine del romanticismo sia ciò che realmente crea un solco generazionale.

Effettivamente i valori tradizionali di quanti siano cresciuti ed educati nel ventesimo secolo sono indubbiamente ispirati all'ideale romantico di derivazione ottocentesca.
I ragazzi di oggi, quelli del ventunesimo secolo, invece del romanticismo non ne portano alcun segno.
La cultura del nuovo millennio affonda le radici in una rivoluzione culturale che non è ancora arrivata. La perdita di valori tradizionali, senza l'affermazione di nuovi valori, ha dato vita a questo importante periodo di transizione socio-culturale.
Inutile cercare di riportare tutto al nostro senso di giustizia. C'è chi non lo condivide e anzi lo considera ingiusto.Visualizza blog

Ma cosa può aver creato un divario così netto? Sembra che nel giro di un decennio o due, i giovani si siano trasformati radicalmente. Com'è possibile?

Cosa è cambiato nella società come non è avvenuto per secoli?
E' arrivata la rivoluzione digitale, che non è come si pensa soltanto tecnologica. L'era informatica, dall'acronimo francese "informatique" che sta a significare informazione+automatica, ha ristrutturato i rapporti sociali.

Non ci sono più uomini che si rapportano agli uomini.

Oggi ci sono uomini che si rapportano alle macchine, proprio come succede a noi due in questo momento, il lettore e lo scrittore, uniti da un computer in luogo di un libro o di un rapporto fisico.

Così ci sono arrivato.

Ciò che distingue gli uomini di oggi da quelli del decennio o del millennio scorso, è un semplice pronome.
Per sapere dell'origine culturale di quelli come me, la domanda è:
"Chi mi ha educato?".
Ma per conoscere le origini dei nuovi venuti, non possiamo più porci lo stesso interrogativo, non più.
Per loro la domanda è nuova, evolutiva e per certi versi spaventosa.
La domanda per loro è:

Cosa vi ha educati?

giovedì 5 settembre 2013

Dio è morto.


Il tempo è dalla partedi Dio, ora lo sa anche Nietzsche.

Fermate il progresso

Non c'è nulla di utile nel progresso.

Lo ammetto, va bene, è una dichiarazione esagerata.

Ma come spiegare con parole semplici ciò che sarebbe semplice da capire se semplicemente guardassimo con occhi semplici il mondo che ci circonda?

Ogni vittoria ha un prezzo, la sconfitta altrui. Per una comunità che cresce, c'è una comunità che decresce. Il conflitto è alla base dei rapporti umani e pertanto dell'economia quale scienza sociale.
Se per avere un progresso sociale, economico, tecnologico dobbiamo creare un conflitto, allora siamo ad un punto morto.
Curiamo l'interesse o l'etica?

C'è un qualche possibile fine etico nell'Economia? Apparentemente no.
Per la mia tesi di laurea mi ero riproposto di analizzare la questione, ma mi rendo conto che non sarebbe producente, non avrei un vantaggio economico/sociale e ho lasciato perdere.
Anni fa pensai che fosse, nella vita, necessario produrre un certo volume d'affari, che fosse il necessario per vivere. Poi mi scontrai con la necessità di farlo a discapito del benessere altrui e vacillai.
Persi il filo del discorso e devo dire che studiare materie sociali, nonché tanto diritto, mi ha ricordato che in fondo non esiste una morale.

La morale è un lascito intellettuale di quei movimenti, per ultimo considero quello illuminista del XVIII secolo, che hanno il pregio di aggregare persone generalmente dimenticate dalla società, ma hanno il difetto di non fornire loro alcuna informazione circa l'uso di questa eredità.

Le persone dimenticano ciò che conoscono, ma non possono ricordare ciò che ignorano.

E così, in questa altalena di vizi e virtù, il cui valore etico è determinato esclusivamente dal punto di vista, vaghiamo alla ricerca di "Madame Giustizia" [cit.] senza far altro che affogare nel nostro concetto di morale.
Fermate l'etica, per un po'. Sospendete ogni legge, cancelliamo ogni morale e armiamoci fino ai denti. Apriamo i cancelli al Destino e vediamo chi resta in piedi.
Sarà il trionfo dell'economia e, tenendo conto della natura umana, un momento di vero e ineluttabile progresso sociale.

martedì 27 agosto 2013

Geometria della vita


La vita è un cerchio, se vista nell'insieme delle vite.
Se pensiamo a noi come parte del mondo e del "creato" ovvero dell'ecosistema globale. E' un cerchio perché la morte di un individuo, la fine della sua vita, non è che elemento utile alla prosecuzione di un'altra.

La vita è una linea retta, se vista da sola.
Nasciamo e moriamo, mentre in mezzo, sulla retta delineata tra questi due punti posti nello spazio-tempo, non facciamo altro che esercitare opzioni individuali assolutamente irrilevanti per il fine.

La vita è un punto, se vista dall'alto.
Concettualmente non abbiamo senso, non c'è motivo per nascere o per vivere. Semplicemente "accadiamo" come un qualunque evento caotico, salvo spendere l'intera vita per cercare di attribuirle un significato.

La vita è un poligono, se vista in società.
Tanto più siamo connessi con il resto del mondo, tanti più vertici avremo. Se per alcuni essere un triangolo è già un problema, per altri essere un icosaedro non è abbastanza.

La vita è il vuoto, se vista dal nemico.
Chi non fa parte del nostro mondo non è importante. E non ci interessa che sia fisicamente o meno vicino a noi, che ci sia affine dal punto di vista biologico o culturale. Chi non ci interessa non vale nulla.

La vita è un frattale, se vista distrattamente.
Apparentemente cresciamo ed evolviamo, ma se potessimo guardarci ad un livello più alto, se potessimo ridurre lo zoom, scopriremmo che restiamo sempre uguali a noi stessi, cambia solo la portata delle nostre azioni.

La vita è geometrica, ma in fondo la geometria non è che una limitazione concettuale della vita.
La vita allora non è, ma è quel non essere che ci rende ineluttabilmente vivi.

lunedì 5 agosto 2013

Cos'è Matrix?

Domanda centrale nel pensiero del protagonista del successo cinematografico della fine del XX secolo.

Cos'è Matrix? Mi chiedo oggi

E' la prigione per la mente dove inconsapevoli esseri umani vengono coltivati per produrre energia?
No; la prigione non esiste.

C'è abbastanza consapevolezza in ogni essere umano adulto per capire cosa sia giusto o sbagliato, cosa sarebbe opportuno fare per garantire un discreto livello di benessere a tutti.

Matrix è la convenienza.

L'interesse personale che fa passare in secondo piano il senso di giustizia. Secondo un ideale filosofico che si può far risalire al britannico Hobbes, gli uomini agiscono per interesse e non si curano degli altri uomini se non in maniera marginale o in equilibrio di interessi.
Sulla base di questo concetto, si sono sviluppate e ampliate le teorie economiche moderne, si è dato vita alle varie rivoluzioni industriali, si è giunti dal XVI fino al tardo XIX secolo.

Poi qualcuno iniziò seriamente ad interrogarsi (nuovamente) circa l'etica.

Si elaborarono teorie circa l'uguaglianza delle persone, si ripudiò la schiavitù, si iniziò a pensare che un mondo equo potesse esistere. Per dare peso a queste teorie si coinvolsero nel processo di governo le masse e si ridiede vigore alla democrazia.

E si pensò che la vita fino ad allora fosse stata una prigionia per la maggioranza delle persone.

E invece la prigionia è nell'immaginazione. Ci sono miliardi di persone che non immaginano un mondo migliore e che non fanno nulla per ottenerlo.
Tutelano, spesso pigramente e con superficialità, ciò che hanno, nel disperato tentativo di avere di più senza rischiare di avere meno.

Questa è Matrix.

E' il baratto del noi per l'io, l'impossibilità di dare e la disperata competizione per avere di più.
E ogni volta penso a John Nash e alla semplicità delle sue teorie che ancora oggi faticano a mettere radici.
Poi penso ad un formicaio e a cosa siano in grado di fare milioni di formiche unite, semplicemente perché non passano l'intera vita a cercare di essere tutte la regina, ignare ma quasi consapevoli, che la felicità non è nel tutto, ma nella possibilità di non avere niente intorno al nostro pensiero felice.

mercoledì 31 luglio 2013

Il mio braccio

Il mio braccio è decisamente troppo corto per misurare il mondo, e il vostro?

Esiste un metro per ciò che non conosciamo? Come facciamo a valutare ciò che ancora non abbiamo incontrato e neppure immaginato?

Non possiamo farlo.

Abbiamo allora due scelte; accorciare il mondo affinché il nostro metro sia utile, cercare una nuova scala di valori.
Ma come la troviamo una scala astratta?

La immaginiamo.

Immaginiamo di accogliere costruttivamente ogni novità che ci si presenta nella vita, immaginiamo di avere una mente aperta e pronta al nuovo, pur mantenendo una certa criticità che ci impedisca di diventare vittima della nostra esterofilia.
Ma come possiamo valutare qualcosa che cambia la nostra cultura? Come definire il giusto equilibrio a priori?

Non si può.

Non ci resta che affrontare quindi la vita con meraviglia e sospetto, con felicità e sgomento, con passione e critica.
Non ci resta che guardare il mondo, facendo misure provvisorie, mentre spendiamo la vita alla ricerca continua di quel metro adatto che non troveremo, felicemente, mai.

sabato 27 luglio 2013

La vita sull'albero

"Schopenhauer e Nietzsche per primi insegnarono il profondo significato del non senso della vita e come tale non senso potesse venire tramutato in arte" [Giorgio De Chirico]

Inutile caricare di significati ciò che non ne ha; come la vita, che ne è del tutto priva.

Più precisamente la vita può avere significato soltanto se guardata all'indietro, sempre che sia nostro interesse attribuirgliene uno. Vivere è come percorrere il ramo principale di un albero partendo dal tronco. dinnanzi a noi, nascoste tra le verdi foglie del futuro, le infinite scelte ancora da fare; dietro noi il tronco rugoso che sintetizza quelle fatte.

(reminder: ricordarsi però di non sfrondare l'albero per vedere meglio il percorso, perderemmo del tutto la sorpresa e resteremmo accecati dalla luce.)

Tornando al futuro, con la metafora dell'albero, sembra semplice intuire che non possiamo pianificarlo più di tanto. Non sappiamo ancora quali ramificazioni sceglieremo, ma neppure fino a quando i rami reggeranno il nostro peso prima di consegnarci alla luce. A proposito, la luce della vita, il tunnel della premorte, sono una "boiata pazzesca".

Il significato della vita è nel presente, è soltanto nel qui ed ora che possiamo riassumere le nostre aspettative per il futuro e dare un senso al Tutto tenendo conto del nostro passato, anche se è un lavoro decisamente complesso.

La vita pensata in un continuum dinamico è decisamente impegnativa. Ci vuole tempo per imparare che è un argomento complesso e che non si può semplificare come tanto ci piace fare.

La semplificazione non è altro che la potatura dell'albero. Se vi piace vivere tra rami secchi, beh semplificate a più non posso.Cercate il modo per ottenere il più dal meno, del massimo risultato con il minimo sforzo, il godimento dell'abbondanza a detrimento del piacere della singolarità.
Se invece preferite la fugacità di un attimo, la singolarità dell'evento, la sorpresa; non vi resterà che tentare di cercare il sentiero migliore nella foresta pluviale delle opportunità, tra ostacoli e pericoli, nell'intrico di rami, foglie, insetti e predatori che si annidano sul vostro albero.

Il presente esiste, il futuro e il passato no. E con questa determinazione non possiamo che dare significato al cammino che stiamo facendo, pur senza ignorare ciò che ci è dato di vedere. Procedere senza una road-map non vuol dire farlo ad occhi chiusi.

E così torniamo a Schopenhauer, a ricordarci di godere dell'attimo presente, del piacere di scegliere qui ed ora senza lasciarci accecare dalla luce del futuro.
Vivere avviluppati nell'abbraccio del nostro albero cercando, più che di capire come o quando scendere pensando che a terra si possa stare più comodi, di godere dell'opportunità di restarci per ora...

...finché morte non ci separi.

lunedì 22 luglio 2013

Il prezzo della felicità

Matematica e narrativa.

Apparentemente distanti, ma certamente complementari. Il primo esponente di questa stintesi che mi torna alla mente è il visionario Charles Lutwidge Dodgson, altresì noto come Lewis Carroll, matematico e scrittore come del resto ognuno di noi dovrebbe essere

Matematica ed economia sono la base pratica su cui costruiamo la vita quotidiana, le nostre obbligazioni, la nostra necessaria fame di marchi sociali che ci garantisca sufficiente approvazione da parte dei nostri simili.

La narrativa e la parola, sono invece il nutrimento del nostro onirico vivere. Attraverso i voli pindarici della mente, attraverso la fantasia riusciamo a nutrire quella parte morale e metafisica del nostro essere.

Tutto questo richiede talento.

Richiede talento saper gestire la parte economica della nostra vita eludendo, o meglio assecondando solo in parte, i precetti che gli agenti economici emettono con l'intento di rientrare in possesso di ciò che ci avevano illusoriamente prestato... ovvero il denaro
Richiede talento saper vedere oltre la realtà delle cose sapere immaginare il mondo in cui vorremmo vivere.

Per la fortuna di molti il talento narrativo si può comprare. Lo possiamo prendere in prestito imitando la vita di qualche personaggio famoso, lo possiamo comprare con gli oggetti frutto dell'altrui creatività, lo possiamo acquistare sotto forma di libro, film, canzone per rendere vivida l'impressione di essere ciò che altri hanno immaginato potesse esistere.
Possiamo comprare la fantasia altrui con il denaro

Ma la matematica applicata all'economia, il denaro, non si può immaginare. O meglio, possono immaginarlo solo alcuni, solo coloro i quali hanno il potere di renderlo reale. E così un semplice pezzo di carta si trasforma in qualcosa di concreto.
Un concetto astratto diventa metro di valutazione della nostra fantasia.

Quanti soldi occorrono per una vita da sogno?

Zero per chi ha talento.
Zero per chi sa immaginare
Zero per chi sa rendere sublime la propria attualità
Zero per chi sa rinunciare alle sovrastrutture

Zero è il prezzo della felicità.

giovedì 18 luglio 2013

La morale e la vergogna

Se la morale è universalmente definita come un valore individuale che si esprime nel mettere in atto l'interesse futuro della collettività, piuttosto che l'interesse immediato del singolo, com'è possibile che ancora, in Italia, si consideri più proficuo curarsi degli "affari propri"?

Perchè  la cosa comune è sempre la cosa di nessuno e il disprezzo si manifesta in qualsiasi ceto sociale?
Cos'è andato storto in questo Paese. Forse che gli interessi di alcune parti non collidano con quelli del tutto?

Come si può pensare che il mero interesse personale ci darà, in un mondo globale, qualche vantaggio?

E oggi, in questa grande collettività nazionale, ci troviamo con debiti inimmaginabili creati dall'immediatezza delle soluzioni individuali. Genitori, nonni, che scaricano su figli e nipoti l'onere di mantenere la loro fortuna, accumulata spesso alle spalle di altri genitori o nonni e sulla loro progenie.

Vergognatevi, vergognamoci tutti.
Abbiamo gozzovigliato e rimandato i problemi sulle esili spalle dei nostri nipoti. Abbiamo lasciato loro il residuo pubblico dei nostri guadagni privati.

Eppure, senza morale e senza vergogna, festeggiamo con gioia i loro compleanni, comprando loro regali costosi, pagati con cambiali firmate sul loro futuro.

domenica 14 luglio 2013

Dell'impossibilità di non riflettere

Che sulle prime può limitarsi a non essere uno specchio.
Approfondendo però la questione possiamo pensare di attribuire a "riflettere" anche il significato proprio dell'essere vivente.

Riflettere è pensare; pensare è esistere; esistere è essere; essere è vivere.

L'essere vivente riflette.

Riflettiamo mai però sulla qualità del pensiero? Ci soffermiamo a sufficienza sul tipo di pensieri che si generano? A dire la verità non ci soffermiamo a sufficienza su alcunché.

La qualità del pensiero è allora insufficiente, o casualmente sufficiente.

Ma un pensiero casuale può essere un pensiero di qualità? E' la casualità quello che desideriamo produrre?
Può la consapevolezza nascere dal caso.

Il caso.

Il caso nasce dal caos. Sarà casuale che siano anagrammi? Eppure anche l'ordine nasce dal caos, quindi anche dal caso.

In conclusione la situazione appare semplice.
La non riflessione che caoticamente genera il caso, può essere ordinata da un pensiero di qualità composto da un essere vivente, purché si utilizzi un chiaro e approfondito pensiero.

Appare quindi evidente che non è possibile non riflettere, l'uomo quindi non è che un inconsapevole specchio.

mercoledì 10 luglio 2013

Viralità


Vedo troppe persone intenzionate a divulgare la propria immagine di sé, convinti che coincida con quella sociale. Ambiziosi propinatori del proprio ego, più grande spesso della propria intelligenza.

Ed è forse questo il successo della società di massa, nella carenza assoluta di critica, di verifica e di accettazione di ciò che non sia diffuso.
Non si viene più scelti dai lettori, dagli interlocutori.


Ci si propone in maniera virarle, quasi ad essere diventati un'infezione sociale che non si può arrestare.

Si impone agli altri l'autocelebrazione virale di quello che pensiamo d'essere, e incredibilmente ci autoaffermiamo Dov'è finito il dialogo, la capacità interattiva scollegata dai contesti pubblici, la capacità di rapportarsi agli altri, di vincere e di perdere, ma soprattutto di mutare individualmente per sincronizzarsi con la società?


Non voglio essere virale, voglio essere piacevole, ma è dura esserlo quando è piacevole soltanto ciò che è virale.

domenica 7 luglio 2013

Osservare il Tempo

Aver passato la vita ad osservare la gente e scoprire poi di averla osservata attentamente non rallegra.
Così ti guardi intorno sperando che non ci sia nessuno. Nessuna di quelle persone così simili alle altre, così prevedibili e conformate, così adatte al contesto in cui si trovano, così adattate al contesto da diventare tappezzeria sociale.
Non resta che scriverne, raccontare e raccontargli quanto inutile sia l'affanno che regola le loro vite, quanto tutto si riassuma in una estenuante ricerca del Graal.
Fermo.
Adoro stare fermo a guardare il Tempo, ad acquisire consapevolezza dell'ignoranza, a comprendere che non ci sia nulla da fare che non sia già stato fatto, da dire che non sia già stato detto.
E' rassicurante sapere di poter essere adatto all'infinito, essere a mia volta tappezzeria di un contesto solo un po' più ampio di quelli in cui spendo parte del mio tempo.
E' rassicurante sapere di essere niente più di niente.

sabato 6 luglio 2013

il Male

Il Male è l'indifferenza.

Non si può guardare il mare al tramonto e non sentirsi emozionati. Se questo succede, se davvero riusciamo a non sorridere o a non commuoverci, beh, siamo il Male.
O almeno una piccola parte.

Siamo il Male quando indifferenti ignoriamo l'anziana caduta al suolo dinnanzi alla parrocchia, quando ignoriamo la richiesta di informazioni del passante, quando ignoriamo le norme più comuni dell'educazione civica.

Il Male è l'indifferenza dell'ignoranza.

Non si può pensare che non via sia differenza tra vivere in un posto pulito o nella sporcizia, tra vivere in maniera attiva e civile, piuttosto che vivere come parassiti, tra vivere tra le arti e la cultura o vivere nell'inedia.

Il Male è l'indifferente inedia dell'ignoranza.

Non si può vivere nell'attesa delle vacanze estive, del fine settimana fuori porta, del momento in cui non saremo chi siamo in tutti i giorni qualunque della nostra vita.

Noi siamo quelli che si svegliano ogni mattina.
Se ogni mattina, nello specchio, ciò che vedi è la tua immagine probabilmente non vedrai neppure la pochezza del tuo essere quotidianamente indifferente alla cultura e alla bellezza; ma se una mattina, nello specchio, non vedrai la tua immagine ma te per intero, beh, sappi che quello potrebbe essere il primo giorno della tua vita, quella in cui inedia, indifferenza e ignoranza saranno solo un triste ricordo di quando

eravamo il Male.

lunedì 1 luglio 2013

Morte della pop art

Popular è diventato sinonimo di scadente e volgare.
Aver messo l'arte in mano alla massa, a questa società di massa che altro non è che un niente ammassato, non ha fatto altro che uccidere l'arte. E' morto il senso del bello, la ricerca dell'elemento originale, è diventato arte ciò che ordinariamente facciamo con un clic.
E' arte aprire photoshop e togliere saturazione ad una foto.
E' arte fotografarsi davanti ad uno specchio per le vie di una qualsiasi città esotica, esotica peraltro semplicemente per questione di latitudine.
E' arte scrivere, magari copiare, aforismi sull'amore e sul passare delle stagioni.
E' arte tutto ciò che una volta era dell'artista.

Così oggi è artista colui che sa vivere senza farsi riconoscere, colui che non fa altro che pensare prima di agire, colui che è in grado di esistere senza la società.

Massa, una componente fisica tangibile, l'ostacolo stesso al cambiamento, l'ostacolo del pensiero, dell'individualità errante che crea il pensiero originale.
Non c'è arte nella massa.

Ora che la pop art muore, mi sento più leggero, mi libero dalla massa e apro la mente.

domenica 30 giugno 2013

Equazione matematica

enunciato
Se non ci adoperiamo per aver un mondo migliore, ne avremo uno uguale o peggiore.

analisi
Per veder migliorare la nostra vita non ci resta che sperare di essere parte di una minoranza, diversamente la nostra inattività sarà vincente e il risultato finale sarà drammaticamente conforme alle nostre proteste.
Sarà una predizione che si auto-adempie e il mondo in cui vivremo non sarà mai migliore di quello che è oggi.
Un atteggiamento proattivo invece, farà sì che adoperandoci per un mondo migliore, potremo far parte di quella eventuale maggioranza che cambia il mondo.
Nel malaugurato caso che fossimo una minoranza, avremo però la corroborante certezza di aver migliorato seppur poco non solo la nostra vita, ma quella di tutti coloro che si lamentano e restano inattivi.

venerdì 28 giugno 2013

Manifesto antiecologista

Sempre più persone inneggiano ad una coscienza ecologista. Io credo che l'uomo dovrebbe pensarla diversamente, perlomeno finchè non sarà in grado di rinunciare a ciò che prende dal pianeta e che non ha intenzione di rifondere.
L'onnipotenza di fatto del genere umano sul sistema terra, derivata dalla predominanza su qualsiasi predatore naturale, nonchè sullo stesso scoglio di terra roteante che l'ospita, abbia accelerato il processo disgregativo del sistema terra stesso. La massa di persone alla ricerca degli effetti del progresso, non fa altro che alimentare la produzione di derivati tecnologici che a loro volta si nutrono in maniera sbilanciata delle risorse planetarie.
Possiamo scaldarci con la legna, ma quando potremo far funzionare il condizionatore o il frigorifero con la stessa legna? Crediamo che le miliardi di palazzi costruiti nel mondo potranno mai essere biodegradabili, così come le condutture o la plastica del nostro quotidiano? La tastiera da cui digito mi sopravviverà 100 volte.

Il comfort, non è che la morte dello spirito.
E vite intere vengono sprecate nel tentativo, stupido, di non morire.
Non vivere è forse l'unico modo per non morire.

Il progresso ha raggiunto ormai il punto di non ritorno, perchè mai più le persone si limiteranno a prendere ciò che potranno ridare al pianeta, tutt'al più qualcuno potrà pagare un "povero" perchè questo avvenga, per ora.
Chi tra noi internauti saprà rinunciare al progresso in luogo di un equo scambio fatto di orti coltivati, di animali allevati e alberi piantati? Chi di noi sarà disposto a guadagnarsi il pane al prezzo del proprio sudore?
La risposta è "solo chi non ne può fare a meno"
Solo chi è in ritardo sulla scala mobile dello sviluppo può farlo, ma quella stessa persona mira a raggiungere noi che al contempo andiamo sempre più avanti. E la scala mobile accelera sempre più, così come lo scempio del pianeta soggiogato al nostro avanzare.
Così cerchiamo di sensibilizzare il prossimo senza criticare noi stessi, diciamo agli altri che inquinano e non sono eco-sostenibili, ma non facciamo di meglio. Cerchiamo qualcuno su cui scaricare le nostre colpe, trovando soltanto alter ego di noi stessi.
Chi è l'eco-mostro? Non di certo il prodotto illegale di menti criminali. L'eco-mostro non è altro che l'uomo stesso, trincerato dietro teorie di comodo e azioni barbare nel tentativo di far migliorare il mondo attraverso il sacrificio altrui.
Alla luce di quanto sopra, d'ora innanzi mi professo ANTIECOLOGISTA
non perché m'auguri la distruzione del pianeta; semplicemente perché non penso di poter vivere in questo contesto socio-economico rifondendo il debito ecologico che creo.
Sono un debitore incallito che mai potrà pareggiare i conti, e sono fortunato che la terra sappia perdonare il mio sfregio in maniera così dolce.
Se la terra potrà sopravvivere all'uomo, le guerre per le risorse naturali aumenteranno sempre più; e presto (inteso nel tempo storico) gli uomini dovranno iniziare a selezionarsi da soli, ripristinando l'equilibrio ormai rotto.
Così mi pongo spesso alcune domande:
Perché il progresso è andato verso la pigrizia invece che verso la conoscenza?
Perché dobbiamo vivere 150 anni a dispetto di ogni dignità, quando potremmo morire con orgoglio nel pieno della nostra vita?
Perché ridurre l'uomo ad un involucro da vestire e abbellire e non considerarlo una mente da nutrire?


Ma di queste domande non cerco risposta. Mi limito a vivere la condizione di brandello del genere umano ed elevare il mio spirito al di sopra del puzzo della spazzatura che io stesso contribuisco a creare; se mai mi vedreste lottare per il pianeta, sarà per distruggere il genere umano che lo vilipende.

giovedì 27 giugno 2013

The End

Mi piace iniziare con la fine.
Ogni inizio è sempre originato da una fine, ed è perfino banale dirlo, così quando finisce la notte inizia il giorno e alla fine di un giorno ne inizia un altro.
Alla fine della vita ne inizia una nuova.
Metafisica.
Ed è quella che inizia oggi in questa memorabile data che non ricordo, con queste parole indelebili che dimenticheremo presto e con tutti i propositi del nuovo anno che neppure abbiamo pensato di ricordare.
Parole al vento, rivolte al futuro che appena dette sono già dietro le nostre spalle, come se vivere fosse un incedere controvento e morire niente più che un punto fermo, l'unica certezza cronologica di una vita precariamente legata all'infinità.
Così se oggi rinasco, da qualche parte (nel tempo) devo pur essere morto. Cambio pelle, forma e spirito; lascio il bozzolo e dono il mio futuro a queste parole che neppure più ricordo.