domenica 28 dicembre 2014

Un tempo il Piave mormorava



era il 24 maggio del 1915 in cui i Figli della Nazione andavano in guerra contro l'invasore austriaco. Oggi scacciamo allo stesso modo i turisti stranieri, austriaci inclusi.

Da quel tetro 24 maggio il mondo è cambiato.

Oggi gli stranieri sono una risorsa planetaria per un mercato del turismo che ha assunto dimensioni inimmaginabili per i nostri nonni, da quegli italiani che andarono in Africa a costruire strade e a sfruttare risorse naturali per arricchire il mercato interno ed elevare la qualità della vita delle loro famiglie.

Fino alla metà del novecento lo straniero era invasore o schiavo, ma ormai è cambiato tutto.

Se un ricco senegalese, richiede un visto, prende l'aereo e decide di scendere all'Hilton di una qualsiasi città italiana, dove si aggira poi indossando abiti Armani, nessuno si sogna di definirlo un "extracomunitario".

Viene accolto nei migliori ristoranti, accede ai musei, viene consigliato dalle operatrici turistiche nella sua lingua madre. Viene considerato un turista.

Se questo turista è un americano ancor meglio, perché "Americano" fa pensare agli operatori di potergli sottrarre quanto più denaro possibile, Americano è lo sprovveduto facilone che paga e non si lamenta... ma che poi non torna più.

E poi i turisti arrivano chez nous con pretese assurde. Venire qui quando è festa!

«Come si può pensare di andare "a casa d'altri" per farli lavorare durante le feste comandate?
Non possono tornare in orario lavorativo consono, se possibile escludendo il lunedì mattina e il venerdì pomeriggio che sono troppo vicini al fine settimana? »

Pompei chiude a Natale per la mancanza dei fondi necessari a pagare lo straordinario festivo ai dipendenti.
Festivo?
Perché festivo?

Nel turismo i periodi tradizionali di festa sono quelli di lavoro ordinario. Non ho mai sentito un operatore turistico considerare la domenica in alta stagione come festiva.
E a dire la verità neppure la considerano festiva coloro che semplicemente vivono in posti di villeggiatura.

L'Italia possiede circa il 60% delle bellezze artistiche del mondo intero, eppure in Italia gli operatori dell'indotto del turismo, i privati che hanno a che fare con tali bellezze, si barcamenano tentando di offrire qualcosa di diverso dalle spiagge urbanizzate, affatto concorrenziali se paragonate a quelle tropicali.
Perché mai un turista decide di venire in Italia se tutto quello che trova di fruibile non è meglio di quello che trova a metà prezzo in giro per il mondo?

Perché glielo dicono gli Italiani? E chi sono?
Sono i politici nazionali, il ministro Franceschini, quello che ha "inventato" l'art-bonus.
Si definisce "Art-bonus" un sistema di sgravi fiscali, una sorta di mecenatismo (descritto qui; La regressione e il mecenatismo) finalizzato al finanziamento del Ministero, un diverso modo per farsi mantenere dai privati senza passare attraverso la fiscalità ordinaria.
Il decreto prevede insomma un tax credit a favore di chi fa donazioni che siano utili a finanziare la gestione pubblica dei beni culturali.

Considerata la malagestione (sovente malversazione) questo sistema di defiscalizzazione è una sorta di distrazione delle tasse in favore della fallimentare attività ministeriale di gestione dei beni culturali.
Come si può pensare che maggiorni entrate risolvano i problemi originati da amministrazioni improbabili e popolate da incompetenti e ignoranti?

E' il solito, ricorrente problema di questo Paese.Ci sono troppi idioti in posti chiave.

Cosa aspettiamo a favorire quegli imprenditori che sono realmente in grado di rilanciare il turismo e che chiedono soltanto di poter guadagnare grazie alle proprie capacità?

E così, mentre vessiamo i turisti chiedendo loro di comportarsi da stranieri, mentre creiamo complessi sistemi di leve fiscali pensando che ottenere più soldi renderà il sistema più efficiente (secondo non so quale teoria economica) e riportando questo paese a prima dell'età dei lumi, mentre i musei restano chiusi nei giorni festivi e vuoti durante la settimana,

il Piave mormora.

Ricorda il sangue versato da un milione e mezzo di patrioti un secolo fa; sangue versato per scacciare lo straniero ostile e dare vita a una progenie di italiani presuntuosi, chiusi nei propri confini, ostili e invidiosi verso chiunque tenti di elevarsi  fino a preferire morire d'inedia pur di non spostarsi. Fermi da un secolo e sempre più ignorati dal mondo.

lunedì 22 dicembre 2014

L'autoregalo e la morte del Natale

...perché farsi un regalo da soli può significare essere egoisti o essere soli.

Treccani alla voce - regalo
s. m. [prob. dallo spagn. regalo, riferito anticam. ai doni dei sudditi al re]. – L’atto di regalare, il fatto di venire regalato; l’oggetto, la cosa che si regala: dare, ricevere qualcosa in regalo; dare, offrire, portare, porgere...
L'autoregalo non esiste e lo facciamo esistere solo per dare un nome più festoso alla normale pratica, a volte patologica, di comprare oggetti per noi stessi.

Dov'è finita la generosità alla base dell'atto di donare?

Seppure donare sia un atto rituale, è altresì vero che quando si compiono azioni, le intenzioni diventano secondarie e insindacabili. Così seppure interessato, l'atto di donare resta vivido nelle percezioni sensoriali. Ricevere un dono dà sempre piacere, come spesso ne dà acquistarlo o meglio prepararlo.

La monetizzazione dei doni, dovuta principalmente alla commercializzazione dei beni, ha progressivamente trasformato il dono nel corrispettivo economico che serve ad acquistarlo.


Si scambiano regali non graditi, si regalano addirittura buoni spesa e infine ci si fanno autodoni.

C'è ancora qualcuno in grado di farci un regalo gradito? Di prendersi il rischio di sbagliare regalo?

Babbo Natale è stato sostituito dall'immensità dell'ego moderno e il dono è diventato un atto riflessivo, quasi come se noi e soltanto noi, potessimo avere l'onore di fare regali a noi stessi.

Sublimiamo così la solitudine e l'egoismo moderni, la civiltà in cui l'oggetto acquista più importanza dell'atto, dove l'io supera di gran lunga il noi.

Il Dizionario Treccani sbaglia?

Forse che il regalo è da definirsi:
s.m. bene che viene acquistato per sé o per altri in occasione di ricorrenze o eventi rituali a carattere sociale
Davvero possiamo pensare che l'autodono sia più che una divisione schizofrenica della psiche con cui si compie un atto verso noi stessi alla stregua di quello che gli altri farebbero per noi?

E' davvero questo il senso del Natale, del compleanno, delle occasioni in cui si scambiano doni?

Eppure c'è ancora al mondo chi compra un oggetto perché pensa che possa essere gradito, chi crede a Babbo Natale che premia i bambini, chi fa acquisti personalizzati e anzi dedica tempo a farlo sperando che la lieta sorpresa rallgri il destinatario dei doni.

C'è chi pensa che Natale sia regalare sorrisi agli altri e di quelli degli altri nutrire il proprio ego. Chi pensa insomma che nonostante tutto, qualche volta, esista ancora un noi a questo mondo.

giovedì 4 dicembre 2014

La politica del nonsenso

... di certo non viene inventata oggi.

affonda le proprie radici, per ciò che riguarda la cultura occidentale, nei dettami della religione cristiana allorché affermatasi attraverso l'apostolato in epoca romana.


L'esclusività della posizione sociale garantiva a chi esercitava il potere, un privilegio culturale e patrimoniale da renderlo inamovibile. Ad un tratto, al punto di rottura tra privilegi e produzione della ricchezza, irrompe la democrazia liberale.

Le persone o meglio alcuni fra loro, iniziano a pensare che l'unione possa realmente fare la forza.

Nel giro di un paio di secoli le rivolte diventano popolari, nascono le repubbliche rivoluzionarie, nasce il socialistmo, il comunismo, il marxismo, nascono i figli dei fiori che però appassiscono in fretta, almeno qui da noi.

Parallelamente, nelle gerarchie aristocratiche e borghesi si cerca di arginare l'ascesa di queste idee democratiche.
Si contengono dapprima con la repressione interna, poi con la guerra, poi con l'embargo e si sconfiggono semplicemente con il consumismo.

Ad un tratto, nel continuum spazio temporale, per niente continuo come sappiamo, arriva Albert Einstein a cui viene spesso attribuito un aforisma: «Follia è fare sempre la stessa cosa e aspettarsi risultati diversi.» Il quando è quantisticamente irrilevante, ma resta il fatto che nessuno lo ascolta.

La politica si rende democratica. Lo spartiacque della Seconda guerra mondiale lascia spazio alla militanza, al potere popolare, alla regressione apparente degli aristocratici e dei borghesi.

Il novecento appare come il secolo del popolo.

Chi deteneva il potere ai tempi delle rivoluzioni liberali si limita a staccare i biglietti e godere dello spettacolo.

La Politica, la Legge e l'Economia diventano il palcoscenico preferito dai rampolli delle famiglie bene, quasi come furono la carriera militare e quella religiosa nel medioevo.
I figli dei notabili occupano posti di rilievo nell'imprenditoria borghese e nella gestione della res publica; da lì controllano gli eccessi della passione popolare.

Si afferma così la politica del nonsenso.

Più soldi finiscono nelle tasche dei ceti inferiori, maggiore è il volume di denaro che ritorna all'origine. Più denaro si produce per assicurare il benessere della popolazione, più denaro si spende per comprare beni e servizi, per assicurarsi privilegi.
L'unica opportunità è svettare, vincere, superare gli altri e come un salmone che risale la corrente consumarsi fino alla morte nel tentativo di emergere.

Il "ceto privilegiato" smette di contenere i privilegi degli "inferiori", cresce il benessere popolare, ma allo stesso tempo cresce l'avidità di privilegi.
Da questo punto di vista i conflitti di classe del novecento sono stati una palestra interessante, risolta soltanto con la globalizzazione. Il nazionalismo che forniva grandi opportunità economiche nel XIX secolo è sublimato in globalizzazione.
La concorrenza globale tra gli imprenditori non è stata da meno del disaccordo, o meglio del disinteresse, di chi avrebbe bisogno di aggregarsi per contare qualcosa e invece è rimasto a guardare.

Ironicamente, l'allargamento della piattaforma comunicativa non ha fatto altro che separare quei gruppi di persone che avrebbero avuto maggior interesse ad unirsi.

E ancora una volta la democrazia si è dimostrata un sistema fallace.

Così, mentre la cultura si trasforma grazie alla rivoluzione digitale, le persone restano ancorate alla politica nel nonsenso.
Intrappolate in infiniti livelli di associazionismo e rappresentanza che filtrano le opportunità, che rallentano l'ascesa, che complicano ciò che in fondo sarebbe semplice.

Paghiamo per votare alle primarie di partito, per eleggere un candidato che è stato selezionato da una élite intellettuale per essere corrotto nel migliore dei casi da imprenditori d'élite, nel peggiore da criminali.
Votiamo per contare qualcosa, nell'idea che l'unione faccia la forza e produca un risultato positivo e personale per il singolo.

Quanto ci vorrà ancora perché la teoria dei giochi di Nash possa essere compresa da tutti e ci convinca che l'unione fa veramente la forza soltanto se pensiamo anche agli altri?

Nel frattempo godiamoci politici posticci, che ripetono ossessivamente ciò che vogliono far diventare reale, che ci impongono il mantra della trasparenza e della legalità per poi propinarci sempre il solito gioco delle tre carte, che tutti conosciamo ma a cui non sappiamo resistere.

Godiamoci la stupidità del nonsenso, del resto se il "salmone" conoscesse il senso della vita non si affannerebbe poi molto sulla corda tesagli da Nietzsche.