mercoledì 11 dicembre 2013

I falsi miti del Belpaese

Da tutta la vita sentiamo dire che l'Italia è il paese degli inventori, Galileo e Leonardo sopra a tutti.

L'Italia non è il paese dei filosofi.

Ci deve pur essere un motivo se negli ultimi 300 anni non si sia praticamente fatto nulla per valorizzare la cultura italica.
Se nel rinascimento lo sviluppo dello Stivale era al massimo livello mondiale, se le repubbliche marinare commerciavano con tutto il mondo, se la Chiesa di Roma deteneva il controllo politico-finanziario indiretto sul mondo intero, il seicento vide la crescita delle culture nord-europee

Tra il '600 e il '700 persone come Spinoza, Hobbes, Kant, Voltaire, spinsero l'acceleratore intellettuale dando il via alla rivoluzione illuminista che avrebbe poi determinato la cultura mondiale fino al XX secolo, che non vide peraltro una ripresa del pensiero italico, bensì dell'ultilitarismo americano correlato alla crescita della potenza d'oltreoceano, gli Stati uniti d'america.

E l'Italia, o meglio quella "espressione geografica" come ben la definì Otto von Bismarck, si rifugiò nella sua arretratezza culturale, nell'essere provincia dell'Impero austriaco per una parte, del Regno di Spagna per un'altra, nell'appartenere ai Savoia, principi di discendenza francese, dall'altra.

L'unificazione nazionale, non fu un moto di unità popolare, ma la convergenza di interessi politici e di conquista. La liberazione dagli invasori, per molte popolazioni, non fu altro che un cambiamento di governante.
La teoria repubblicana di Mazzini e compagni si scontrò con gli interessi politici e i Garibialdini furono il mezzo per l'affermazione dei poteri esistenti, seppure sotto un nuovo nome.
Tommasi da Lampedusa nel Gattopardo, un secolo dopo lo sbarco di Marsala, fece dire ad un personaggio "bisogna che tutto cambi perché tutto resti com'è". Mai migliore analisi dell'Italia fu scritta in tutta la sua storia.

Lo Statuto albertino del 1848, aveva placato gli animi, ma neppure assomigliava a quelle carte costituzionali che in Inghilterra esistevano dal 1689, in America dal 1789 e in Francia dal 1791.
Il Regno sabaudo non era nulla di così evoluto, non come noi italiani studiamo oggi, dopo che quella dinastia ha soggiogato la penisola e i suoi sudditi hanno fatto la democrazia.

La democrazia in Italia.

Ispirata anche quella da qualcuno non italiano, immaginata sull'ideale marxista-stalinista e neppure realizzata, poiché la guerra civile che doveva servire ad affermare l'ideale democratico fu la guerra di pochi per scacciare gli ex-alleati rinnegati.
La democrazia alla fine ce la portarono gli americani, con il loro cliché fatto di coca-cola, blue jeans e rock 'n' roll. E anche in questo caso la popolazione ne rimase perlopiù inconsapevole, godendo i benefici di questo nuovo sistema economico, sguazzando in comportamenti liberali etichettati come democratici.

La Costituzione

Adottammo una Costituzione di compromesso, liberal-democratica. Copiammo malamente quella francese mantenendo i privilegi di alcune classi sociali, garantendo sbocchi politici e istituzionali ai partiti, salvaguardando istituzioni religiose e private, tutelando espressamente gli interessi locali.

Fu redatta una costituzione senza nominare gli "italiani" o il "popolo italiano", del resto nella costituzione francese non si parlava di italiani.

A partire dal 1946, come dal 1861, nessuno si preoccupò di creare una coesione nazionale; essere italiani era un palese richiamo al fascismo, unico vero moto nazionalista nella storia del paese.
Restammo tutti cittadini regionali, almeno fino al nuovo secolo, quando grazie all'Euro ci scoprimmo improvvisamente cittadini d'Europa.
La grande occasione per essere più che Italiani, divenne invece un pretesto per riscoprire l'Italia del 1861, di quella guerra di unificazione fatta con mercenari e coscritti delle campagne, da volontari ignari delle lotte di potere e che generazioni di italiani neppure avevano e avrebbero voluto.

E il proverbiale ingegno italico?

Si espresse nelle arti pratiche, nel design di metà novecento, nella moda, nell'industrializzazione di quel paese ancora così arretrato rispetto a quelle potenze che avevano abbracciato, sostenuto e sviluppato idee innovative.
L'Olanda, da piccola colonia imperiale a potenza leader mondiale in meno di due secoli, costruita sulla capacità di lavorare e con l'idea di realizzare, costruire. Nella cultura mercantile olandese, trovarono posto e ospitalità persone come l'ebreo Spinoza e il polemico Descartes; più o meno nello stesso periodo in Italia Galileo rischiava la morte, mentre Newton in Inghilterra cambiava il corso della storia della scienza.
L'ingegno italico è un falso mito che copre la cronica carenza di istruzione.
L'idea che le università italiane siano di alto livello è un retaggio ottocentesco, quando era probabile che fosse vero, ma dovremmo renderci conto che il mondo cambia e che non è sufficiente desiderare qualcosa perché si avveri.

La cultura dell'ignoranza

E' ciò che rappresenta l'Italia e gli italiani, cercare di adattare il mondo alle propria immagine, rifiutarsi di guardare oltre per non doversi sentire inferiori, piuttosto (usato qui correttamente) che guardare all'esterno per motivarsi nel miglioramento.
L'Italia aveva, vent'anni fa, la possibilità di svoltare e seguire per una volta esempi virtuosi, ma non è stato fatto.
Ora che perfino la Chiesa di Roma scende dal pulpito e si rimbocca le maniche per migliorare e crescere, la classe dirigente di questo paese non è neppure più in grado di rendersi conto che sta frazionando e svendendo quel che resta di quasi due secoli di tentativi di unione.

Ed io riesco soltanto a pensare alla Giovine Italia mazziniana, a quella creatura tanto amata che alla fine è morta vergine.

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