sabato 16 agosto 2014

La regressione e il mecenatismo

ovvero l'opportunità di cancellare la democrazia.

In un paese che guarda al futuro con gli occhi del passato, il mecenatismo appare come una risorsa. Si saluta con gaudio il denaro dei ricchi, il art-bonus proposto da un ministro democratico, e non ci si rende conto che è una soluzione regressiva.

Rinvigorire il contributo dei singoli al bene del Paese non fa che rivalutare le dinamiche clientelari apparentemente disinnescate con la venuta degli Alleati durante la guerra civile.
L'essere stati destinatari dei valori democratici illuministi, giunti a noi con un colpevole ritardo di oltre un secolo, avrebbe dovuto liberare la popolazione italica dall'oppressione monarchica.
Eppure l'aver scritto una costituzione decisamente di sinistra e aver professato i diritti della collettività, ha di fatto lasciato invariati i rapporti personalistici che caratterizzavano l'arretratezza culturale di questa nazione.

A partire dalla fine del settecento, mentre la Francia avviava una rivoluzione democratica, in Germania e Inghilterra si manifestavano intellettuali e filosofi e nascevano i padri del pensiero sociologico, da Smith a Kant a Hegel, da Marx a Weber, da Durkeim a De Tocqueville, da Freud a Jung. Nello stesso momento l'Italia tentava di ottenere il più dal meno, creando una nazione da una provincia.
All'alba del novecento ancora le élite liberali tentavano di ritardare l'evoluzione democratica imperante nel resto d'Europa, finendo per raggiungere l'opposto nel momento in cui il dittatore Benito Mussolini incontrava l'emule, ma democraticamente eletto, Adolf Hitler.

Trascorso il periodo bellico la democrazia giunse nel Paese inattesa. Neppure i comunisti seppero trattarla e si trasformò nel solito neonato senza testa che questo stivale partorisce da qualche secolo in qua.
Eppure questo essere mostruoso sopravvisse a lungo, almeno fino al momento in cui, dopo la firma della Costituzione europea, gli altri confederati si resero conto che la democrazia formale e il debito eccessivo avrebbero ostacolato l'integrazione con quelle culture di democrazia secolarizzata.

Siamo ai giorni nostri, quelli in cui la classe dirigente, l'aristocrazia politica, tenta di preservare interessi e risorse con gli stessi espedienti dei decenni precedenti.
La élite intellettuale di questo paese si dimostra niente meno che un'orda barbarica di gente che arraffa a mani basse, vestitasi di tutto punto con giacche dalle grandi tasche che lasciano soltanto per quelle a righe da carcerato.

Così, nell'intenzione di salvare il Paese, senza tuttavia dover rinunciare al beneficio di disporre dei soldi pubblici, l'acume della montagna politca partorisce un topolino.
Perché non riportare indietro la Nazione ai tempi del Re Sole?
Perché non rivolgersi ai ricchi affinché tutelino il bene pubblico dall'alto della loro magnanimità incentivata dall'esenzione fiscale e per cui i meno fortunati pagheranno il biglietto?
Perché non creare beneficio alle classi abbienti aumentando il peso su quelle più indigenti?
Perché non promulgare una riforma di destra, giacché il governo è peraltro di sinistra?

Ciò che si fa per mantenere il privilegio e l'introito è imbarazzante, ma ancor più imbarazzante è il risalto e l'elogio che è stato dato a questa operazione sintomatica della regressione democratica.
La classe politica che si prostra all'economia per l'interesse personale, il burocrate leccapiedi che ignora la propria posizione nel contesto sociale e pensa al proprio interesse immediato, svendendo la democrazia sovrana.
E allora che liberalismo sia, che torni la monarchia assoluta, anzi che tornino i comuni medievali e le signorie locali che sembrano tuttavia resistere.
Che l'Italia sia ancora una volta, come prima della Guerra di Crimea, "soltanto un'espressione geografica".

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